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LA VERA STORIA DELLA BARONESSA DI CARINI
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Adry



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MessaggioInviato: Dom Gen 21, 2007 00:31    Oggetto: LA VERA STORIA DELLA BARONESSA DI CARINI Rispondi citando


"LA BARONESSA DI CARINI"

(LAURA LANZA)



Dal primo matrimonio di don Cesare Lanza, conte di Mussomeli e di Trabia, con Lucrezia Gaetani, vedova e ricca ereditiera catanese, nacquero due figlie: Laura e Giovanna Domenica. La prima sposò Vincenzo II La Grua-Talamanca, figlio di Pietro III, barone di Carini; e la seconda sposò Nicola Branciforti, conte di Braccuia.

PROFILO BIOGRAFICO E CRITICO DEL CONTE CESARE LANZA, REO DELL’UCCISIONE DELLA FIGLIA LAURA, AL CASTELLO DI CARINI.

Dal secondo matrimonio di Blasco Lanza con Laura Tornabene, baronessa di Castania, celebrato nel 1505, nacque nel 1506 Cesare, unico erede maschio. Questi ebbe una individualità molto forte che lo pose nel Cinquecento siciliano tra le figure più note e illustri dell’Isola, ma è tanto mal conosciuto che lo si ricorda solamente per l’assassinio della figlia. A lui si deve l’inizio della potenza e l’ascesa del casato dei Lanza.

Il Salomone Marino così lo descrisse: "Don Cesare Lanza è una di quelle personalità spiccate e complesse del Cinquecento, che s’impongono in tutti i modi. Di mente perspicace, duttile e di larga veduta, affronta febbrilmente i problemi agrari, industriali, economici, e coltiva le scienze filosofiche e la cabala; uomo d’armi valoroso, di ambizione sconfinata, di audacia che non conosce ostacoli e li atterra senza guardare a mezzi, egli ci apparisce sin da giovane intento a una meta che si è prefissa e che con tenacia e costanza e forza di volontà raggiunge, questa cioè: la fondazione della Casa propria su basi che mai più oscillino e crollino, più eminente e più splendida e più possente che ogni altra del Regno".

Nel 1517, ancora bambino, era stato legato con un contratto di sponsali (Dotali in notaio Antonio Occhipinti di Palermo), ad una ricca ereditiera di Catania, Lucrezia Di Gaetano, vedova e assai più vecchia di lui. Quattro anni dopo, il 20 aprile 1521, quando non aveva ancora raggiunto i quindici anni, veniva celebrato il matrimonio. Col denaro proveniente dalla ricca dote della moglie, riacquista il "mero e misto imperio" dei feudi di Castania e Trabia che era stato tolto al padre, per le note vicende(1) intentate dalla città di Termini. Si dà alla politica e ai lucrosi affari; diventa, infatti, deputato del Regno e poco più tardi vicario generale del viceré per la Valle di Mazara. Dopo la morte del padre Blasco, ottiene, con privilegio dato dal re a Valladolid il 1° marzo 1537, la carica di maestro portulano, mansione molto redditizia, che gli dà il controllo di tutto il commercio granario, e gli permette di accumulare tanta ricchezza da concedere consistenti prestiti alla Corona.

Fu anche un grosso profittatore delle disgrazie altrui. Egli infatti, da tempo, aveva messo gli occhi sui possedimenti di Andreatta Campo, signore di Mussomeli che, stante le ristrettezze economiche, non riusciva più a pagare nemmeno gli interessi delle soggiogazioni delle sue terre ai banchieri Mahoma e Minocchi. Fu allora che Cesare Lanza intervenne con consistenti prestiti in aiuto della famiglia Campo e, nel 1549, con un’azione giudiziaria si appropriò spregiudicatamente della ricca contea di Mussomeli.

Per il suo carattere risoluto e violento, Cesare Lanza, fu accusato di essere stato il mandante del tentato omicidio, avvenuto in contrada Dragone, di Simone Pisano, che era uno dei Giurati della città di Termini e suo acerrimo nemico.

Per questo episodio Cesare Lanza fu messo al bando, ma, dopo poco tempo, chiese all’imperatore Carlo V il perdono del delitto di cui si era macchiato; il Sovrano fu clemente, ma gl’impose di seguirlo con una compagnia di cavalieri, a sue totali spese, nelle imprese di Algeri, di Vienna e di Germania.

Dopo i molti anni trascorsi nelle file dell’esercito di Carlo V, dove aveva potuto dimostrare il suo valore di abile combattente nella gloriosa impresa di Algeri e di valido Capitano d’armi nelle guerre di Germania; così che il re "in merito ai servizi resigli e in riguardo alla memoria del padre e degli altri antecessori" gli concesse la grazia.

Nel 1541 Cesare Lanza, liberato da ogni provvedimento emesso dalla Giustizia contro di lui, fece ritorno a Palermo, preceduto da fama di valoroso guerriero, per cui divenne intoccabile del Regno, al di sopra della legge, ottenendo le più alte cariche del governo dell’Isola.

Fu anche un buon politico. Nel 1547, quando Palermo visse momenti difficili, in cui i cittadini si trovarono a lottare, oltre alla ricorrente carestia di viveri, anche contro il varo della riforma delle "pandette"(2) che il viceré don Giovanni de Vega aveva approvato, aggravando ulteriormente la pesante situazione economica, e già la popolazione cominciava a tumultuare, Cesare Lanza si mise dalla loro parte e "seppe con tale animo sostenere i privilegi della città" che i palermitani lo elessero a loro ambasciatore per perorare e difendere la loro causa presso l’imperatore Carlo V.

Pretore di Palermo per oltre tre lustri dal 1549 al 1566, dimostrò di essere un accorto amministratore e tale incarico gli diede "un grande prestigio e un effettivo potere".

A lui si deve l’ampliamento del palazzo municipale (oggi "Palazzo delle Aquile", a piazza Pretoria) dal lato di tramontana e la lapide, che fu posta in suo onore sulla facciata dello stesso, si conserva ancora a testimonianza delle nuove opere eseguite.

Si adoperò anche alla realizzazione di una grande vasca di marmo (a "Danisinni"), in cui furono fatte confluire le acque della sorgente Averinga.

Nel 1553 fece un altro grande affare, mettendo in vendita la baronia di Castania e le saline di Nicosia, che furono acquistate per 14.000 onze dal maestro razionale del regno don Giovanni Collima, e con l’ingente somma ricavata acquistò il diritto di esazione di "cinque grani sopra ogni salma di vittuaglia (cereali) estratta (asportata) dal regno".

Divenne Governatore della Compagnia dei Bianchi nel 1556 e nel 1563 chiese a Filippo II che la baronia di Mussomeli venisse elevata a Contea, ed il re, per i servigi da lui prestati alla Corona ed in particolar modo a suo padre Carlo V, con privilegio dato a Montisoro il 1° gennaio 1563, lo investì con il titolo di Conte di Mussomeli, con l’obbligo però che fornisse all’esercito 24 cavalli.

Nello stesso anno, pur trovandosi in difficoltà finanziarie, come i nobili Ventimiglia, Branciforte, La Grua, tentò di acquistare all’asta della Regia Corte Pretoriana di Palermo, gli stati di Pollina e San Mauro. Ma il tentativo fallì per l’accanita concorrenza della famiglia Ferreri che vinse la licitazione, divenendone legittima proprietaria.

Anche Cesare Lanza, che era stato sempre attento ai suoi affari e ai suoi interessi, del resto come gli altri, risentì della crisi economica, per cui per far fronte ai molteplici impegni presi precedentemente, dovette cedere in affitto le terre della sua contea di Mussomeli, una volta appartenuti alla famiglia Campo.

Nello stesso anno un gravissimo fatto di sangue segnò la storia della sua famiglia, facendo riaffiorare in lui quel carattere violento che da sempre lo aveva contraddistinto; "Cesare Lanza, per motivi d’onore (così come narra la leggenda, ma che non rispecchia assolutamente la realtà dei fatti, da recente ricostruiti sulla scorta di documenti certi. Vedi: C.A. Pinnavaia - "Il Pitrè" - Quaderni del Museo Etnografico Siciliano –dicembre 2001, settembre 2002), uccise la figlia Laura, moglie dello squattrinato barone di Carini, don Vincenzo II La Grua, figlio di Pietro III La Grua Talamanca, a cui aveva dato in dote, per lo sponsalizio, ben 4.400 onze, nonché biancheria e gioielli."

Adelaide Baviera Albanese nella sua "Storia vera del caso della baronessa di Carini" fa emergere la figura inumana e spietata di Cesare Lanza, lo descrive come "uomo impulsivo e sanguinario che mal tollerando l’offesa che i due amanti arrecarono all’onore della famiglia, uccideva, con freddezza, la figlia Laura e lo stesso Ludovico Vernagallo, suo amante, dopo di averli sorpresi nell’intimità, nelle stanze del Castello".

La stessa Adelaide Baviera, riesce a trovare, fra gli atti della Reale Cancelleria e del Protonotaro del Regno, la documentazione che prova il delitto commesso da Cesare Lanza, ed è lo stesso che in un suo esposto inviato al Sovrano, racconta e confessa di come è avvenuto l’assassinio e scrive: "Don Cesare Lanza conte di Mussomeli fa intendere a vostra Maestà come essendo andato al Castello di Carini a vidimi la baronessa di Carini sua figlia come era suo costume trovò al barone di Carini suo genniro molto alterato perché avia trovato in quel mismo istante nella su camara Lodovico Vernagallo suo innamorato con la detta baronessa, onde detto esponente mosso da iusto sdegno in compagnia di detto barone adorno et trovorno li ditti baronessa et suo amante nella ditta camara serrati insieme et cussì subito in quelli istante foro ambo doy ammazzati".

Se non si tiene in alcun conto, da parte di tutti coloro (studiosi o semplici curiosi) che si sono accostati alla drammatica vicenda di cronaca, che la tresca amorosa fra i due amanti (Laura e Ludovico) durava ormai da circa quattordici anni, e che da questa illegale unione erano nate ben otto creature, tutte regolarmente riconosciute dal barone Vincenzo, a cui aveva dato il suo nome, è ammissibile che si possa continuare a parlare di scandalo, in quanto si doveva riscattare il senso dell’onore maritale, ma ciò era inconcepibile agli occhi dei cronisti del tempo e dell’opinione pubblica perché la nobiltà palermitana e gli stessi Carinesi erano da sempre alla conoscenza del consolidato rapporto d’amore dei due giovani, e forse lo approvavano pure, per l’odio che da sempre avevano manifestato verso quel poco di buono del marito, il barone di Carini. Ma di questa nuova indagine seria e paziente, svolta scrupolosamente sulla base di date e documenti dell’epoca, ce ne occuperemo dopo, dando la soluzione definitiva al caso.

Senza alcun dubbio l’assassinio di Laura Lanza è da catalogare fra i delitti d’onore; esisteva in quei tempi infatti il senso dell’onore maritale, retaggio di norme approvate da Ruggero II, sull’adulterio, e più tardi recepite anche dalla costituzione emanata da Federico II, norme mai abolite e giunte attraverso i secoli sino ai nostri giorni, secondo le quali "si maritus uxorem in ipso actu adulterii deprehenderit tam adulterum quam uxorem occidere licebit, nulla tamen mora protracta"; il marito, dunque, che avesse sorpreso la moglie e l’amante di lei in flagrante adulterio poteva senz’altro ucciderli.

Cesare Lanza con la sua confessione di avere egli commesso il delitto, "in quelli istanti" vuole dimostrare, con una mostruosa abilità, che egli uccise la figlia perché colta in flagranza, poiché, come commenta Maniscalco Basile, "l’immediatezza del delitto, compiuto in flagranza di adulterio, ne attenuava, secondo le leggi del tempo la gravità", ed il barone di Carini non osò manco toccarla, poiché spettava al suocero di ammazzarla, in quanto poteva temere la vendetta dei parenti di sua moglie, se lui l’avesse assassinata.

Certamente fu un delitto premeditato, anche se Cesare Lanza cercò di dimostrare il contrario; tutti sapevano della tresca di Laura con Lodovico Vernagallo, anche se il personale di servizio non parlava, perché temeva l’ira del barone, per cui, come riferisce il Sorge, taceva per paura, ed i terrazzani, timorosi e ligi, fingevano di ignorare l’illecita relazione amorosa tra i due.

La leggenda racconta che fu un frate del vicino convento, infatti, ad informare il padre ed il marito della sposa, e questi, assieme, freddamente meditarono e prepararono l’assassinio.

Fu preparato l’agguato e quando l’ignobile spia si accorse che i due amanti stavano insieme, avvertì don Cesare Lanza, che corse nella stessa notte a Carini, accompagnato da una sua compagnia di cavalieri, e fatto circondare il castello, per evitare qualsiasi fuga dell’amante di sua figlia, vi irruppe all’improvviso, e sorpresili a letto, li uccise.

L’atto di morte di Laura Lanza e Lodovico Vernagallo, trascritto nei registri della chiesa Madre di Carini, reca la data del 4 dicembre 1563. Nessun funerale fu celebrato per i due amanti, e la notizia della loro morte, o per paura o per rispetto, fu tenuta segreta.

La cronaca del tempo lo registrò con estrema cautela senza fare i nomi degli uccisori, scrive Luigi Maniscalco Basile, senza dire nemmeno che cosa era accaduto, mentre il Paruta riporta il fatto nel suo diario, così: "sabato a 4 dicembre. Successe il caso della signora di Carini". Ma nonostante la riservatezza d’obbligo, la notizia si divulgò lo stesso ed il "caso" della baronessa di Carini divenne di dominio pubblico.

Il Salomone Marino, nel secolo scorso, raccolse da un esaltatore questi versi in cui si fa rivivere l’efferatezza del delitto compiuto dal padre:

"Vju viniri ‘na cavalleria

chistu è mè patri chi veni pri mia!

Signuri patri, chi vinistivu a fari?

Signura figghia, vi vegnu a ‘mmazzari.

Signuri patri, aspettatimi un pocu

Quantu mi chiamu lu me cunfissuri.

- Habi tant’anni ch’un t’ha confissatu,

ed ora vai circannu cunfissuri?

E, comu dici st’amari palori, tira la spata e cassaci lu cori;

tira cumpagnu miu, nun la sgarràri,

l’appressu corpu chi cci hai di tirari!

Lu primu corpu la donna cadìu,

l’appressu corpu la donna muriu."

Il viceré, appena venuto alla conoscenza dei delitti, immediatamente adottò per don Cesare Lanza ed il barone di Carini i provvedimenti previsti dalla legge; furono banditi ed i loro beni vennero sequestrati.

Don Cesare Lanza ancora una volta si rivolse a re Filippo II; spiegò i motivi che lo avevano portato assieme al genero a trucidare i due amanti ed avvalendosi delle norme, in quel tempo in vigore, sulla flagranza dell’adulterio, chiese il perdono che fu accordato.

Liberato da ogni molestia, don Cesare Lanza riebbe i suoi beni; ancora una volta la Giustizia non lo aveva neanche toccato e giustamente, come scrisse il Dentici, "l’aristocrazia del tempo era al di sopra delle leggi e della giustizia".

Anche il barone di Carini, marito di Laura, fu assolto con formula piena, e visse indebitato sino alla sua morte, dopo avere portato al Monte dei Pegni gli ultimi gioielli della sua famiglia.

Rimasto vedovo, il 4 maggio 1565, nella Chiesa Madre di Carini, si risposò in seconde nozze con Ninfa Ruiz, figlia di Alfonso Ruiz De Alarcòn, maestro di campo di Filippo II (unione "voluta e approvata" da S.A. don Ferrante Gonzaga, nobile di Spagna e vicereè di Sicilia). Non è stato ancora documentato, e come tale non certo, che dopo la morte di Ninfa Ruiz, avvenuta il 24 novembre 1565, don Vincenzo II La Grua-Talamanca abbia contratto un terzo matrimonio con una cortigiana di Carini, certa Maria Russo. Non è da escludere, comunque, che quest’ultima lo abbia assistito, in veste di governante, sino alla fine dei suoi giorni.

La crisi economica che aveva colpito talune famiglie di nobili siciliani, questa volta si abbattè anche sulla casa di don Cesare Lanza, costretto a subire pure l’onta dell’amministrazione controllata.

Certo però è un fatto: anche se la sua figura non godette da parte degli storici di unanimi consensi, bisogna riconoscergli grandi meriti. Fu lui, che attraverso matrimoni combinati, riuscì a sposare la sua numerosa prole con i figli delle famiglie più aristocratiche del regno.

Lui stesso, dopo la morte della prima moglie, sposò nel 1543 la nobile e ricca Castellana Di Centelles, figlia del conte di Favo e vedova del nobile Girolamo Filangeri, che gli diede ben nove figli, tutti accasati con nobili titolati.

Il 16 marzo 1580 don Cesare Lanza rendeva l’anima a Dio ed il suo corpo veniva tumulato nella cripta gentilizia della Chiesa di Santa Cita, che il padre Blasco aveva fatto costruire nel 1524 da Antonello Gagini.

LAURA LANZA, nasce a Trabia il 7 ottobre 1529, e muore a Carini il 4 dicembre 1563, all’età di 34 anni.

Il 21 settembre 1543 viene stipulato contratto di sponsali (Dotali in notaio Antonio Occhipinti) a Palazzo La Grua, in Palermo.

Il 21 dicembre 1543 (di domenica), nella Cappella Palatina del palazzo reale di Palermo, viene celebrato il matrimonio di Laura Lanza (di anni 14), figlia di Cesare e di donna Lucrezia Gaetani, con Vincenzo II La Grua (di anni 16), figlio di Pietro III La Grua-Talamanca e di donna Eleonora Tocco e Manriquez dei Despoti D’Arta, di Serbia e D’Epiro.

Haiu firrìatu pi quant’è longu ‘u Livanti,
Di ’na punta all’autra di la monarchia;

Nun la potti attruvari ‘n’autra amanti

Fidili, amurusa senza ‘ngannu comu a tia.

Tu, di centu stiddi, sji la cchiù lucenti,

ca, di ‘na banna all’autra di li tri punti,

unu smanìa quannu lu tò nnòmi senti.
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MessaggioInviato: Dom Gen 21, 2007 00:38    Oggetto: Rispondi citando


La mano fantasma nel castello…A cura di Alice Scolamacchia.



Tante sono le leggende che si narrano e tramandano a proposito di delitti misteriosi, di morti violente dettate dalla gelosia, di assassini eccellenti e vittime note portati alle cronache da sconsiderati gesti scatenati dalla follia.



Con il passare degli anni, a volte dei secoli, fatti di cronaca nera assumono forma di leggenda e la storia che narrano si trasforma e diventa ancora più misteriosa ed affascinante.



Una di queste storie è sicuramente quella che narra la vicenda della tragica morte di una giovane nobildonna, famoso personaggio della cultura popolare siciliana: la baronessa di Carini.



Si racconta, infatti, che nel castello di Carini su una delle pareti delle antiche mura, vi sia l’impronta insanguinata della giovane donna assassinata che, non trovando pace, vaga ancora disperata per il suo castello…



Siamo nel 1500 e la leggenda narra la vicenda del tragico assassinio di Donna Laura Lanza di Trabia andata sposa, a soli quattordici anni, per volere di suo padre, all’anziano Barone di Carini.



All’epoca non erano rari i matrimoni combinati tra giovanissime fanciulle e attempati nobili di campagna; storia e letteratura sono traboccanti di esempi di scellerate ed infelici unioni spesso sfociate in tragedie.



Il Barone di Carini, troppo impegnato nella cura della sua terra e nel controllo dei suoi possedimenti, trascurava la giovane moglie che, si dice, cominciò a ricevere le attenzioni di un giovane amico della sua infanzia, Ludovico Vernagallo, del quale si innamorò. I due giovani divennero amanti vivendo clandestinamente il loro amore fino a quando, sempre secondo la leggenda, un giovane frate del convento vicino al castello di Carini, mise a parte il padre ed il marito della giovane di questa relazione clandestina.



Alla notizia del tradimento Cesare Lanza di Trabia e suo genero Barone di Carini, decisero di uccidere Laura e Ludovico. Utilizzando il frate traditore come loro spia, i due assassini prepararono un agguato ai giovani amanti. Attesero di sapere quando fossero stati da soli nel castello e, dopo averlo fatto circondare di soldati in maniera da scoraggiare qualsiasi fuga, fecero irruzione nelle stanze della baronessa, scoprirono i due a letto e li assassinarono.



L’atto di morte di Laura Lanza e Lodovico Vernagallo, trascritto nei registri della chiesa Madre di Carini, reca la data del 4 dicembre 1563. Per i due amanti non fu celebrato nessun funerale, e la notizia della loro morte, o per paura o per rispetto, fu tenuta segreta. La cronaca del tempo registrò l’accaduto con estrema cautela senza fare i nomi degli uccisori.



Nonostante tutte queste cautele e la riservatezza d’obbligo, però, la notizia dell’assassinio si sparse lo stesso ed il "caso" della baronessa di Carini divenne di dominio pubblico e, ancora oggi, la sua storia viene tramandata.



A noi è rimasto, come unico atto ufficiale che questa storia sia realmente esistita, il memoriale che il padre della giovane donna, Cesare Lanza di Trabia, scrisse al re di Spagna, Filippo II, per discolparsi del delitto della figlia:

“Sacra Catholica Real Maestà,
don Cesare Lanza, conte di Mussomeli, fa intendere a Vostra Maestà come essendo andato al castello di Carini a videre la baronessa di Carini, sua figlia, come era suo costume, trovò il barone di Carini, suo genero, molto alterato perchè avia trovato in mismo istante nella sua camera Ludovico Vernagallo suo innamorato con la detta baronessa, onde detto esponente mosso da iuxsto sdegno in compagnia di detto barone andorno e trovorno detti baronessa et suo amante nella ditta camera serrati insieme et cussì subito in quello stanti foro ambodoi ammazzati.

Don Cesare Lanza conte di Mussomeli”.

Alice Scolamacchia
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MessaggioInviato: Dom Gen 21, 2007 00:43    Oggetto: Rispondi citando


Chianci Palermu, chianci Siracusa...

ovvero la triste storia della Baronessa di Carini - prima puntata
di Alessandro Borgogno - 5/9/2006

C’è una storia siciliana che merita di essere raccontata, anche perché solo siciliana non è.

Molti la conosceranno, molti no, sicuramente moltissimi non ne conoscono tutte le tracce e i percorsi sparsi nei secoli fino ai nostri giorni. E allora noi di Parolae, nei brevi spazi dei nostri racconti, proviamo a ripercorrerli, anche se in fretta.

La storia è straordinaria soprattutto perché è un esempio quasi unico di come a volte l’arte, l’arte più popolare, quella della musica, delle canzoni e della poesia, possa sostituire e addirittura riempire i vuoti che la storia ufficiale, a volte colpevolmente e consapevolmente, cerca di nascondere con tutti suoi mezzi.

La storia parte nel 1500, per la precisione nel 1563, in piena Sicilia feudale, dominio dei Baroni. Uno di questi feudi è Carini, vicinissimo a Palermo, dove regna il Barone Vincenzo La Grua, della potente dinastia dei La Grua-Talamanca. Per classici motivi di convenienze politiche e dinastiche, al Barone viene data in sposa, ancora quattordicenne, la bellissima donna Laura Lanza di Trabia, figlia del potente Barone Cesare Lanza, vero artefice del matrimonio e della conseguente ventennale prigionia della figlia nel pur magnifico ma isolato Castello di Carini.

Dopo aver onorato il matrimonio con anni di fedeltà e molta prole, la bella Baronessa Laura alla fine cede, evidentemente, alla passione vera e non imposta, iniziando una relazione, non si sa quanto casta, con un bel cavaliere del quale è innamorata fin dall’infanzia, Lodovico Vernagallo, del vicino feudo di Montelepre.

Gli eventi precipitano il 4 Dicembre del 1563. Laura e Lodovico si incontrano segretamente nel Castello, ma qualcuno li sorveglia da tempo. Un infamissimo frate, imboccato dal Barone Vincenzo - marito cornuto e anche vigliacco - corre a Palermo ad avvertire Don Cesare Lanza, il feroce padre di Laura.

Cesare parte con i suoi cavalieri alla volta del Castello di Carini, irrompe nelle stanze e uccide senza pietà la propria figlia, per leso onore del casato. Poi fa inseguire dai suoi 'picciotti' il Vernagallo in fuga e fa uccidere anche lui.

Questa è la storia, più o meno nuda e cruda. Inevitabile che a questa si sovrappongano varie leggende, fra le quali la più suggestiva è quella dell’impronta della mano insanguinata della baronessa su un muro del castello, che per secoli tornerà a farsi vedere ad ogni anniversario dell’atroce delitto.

La prima cosa straordinaria è che questa storia, così come ve l’ho riportata, si è potuta accertare con relativa sicurezza solo da pochi decenni.

E’ accaduto infatti che subito dopo l’infame omicidio, il Barone di Carini e quello di Trabia avviarono una sistematica azione di occultamento e, diremmo oggi, depistaggio, facendo sparire documenti, mettendo a tacere voci scomode e, grande elemento di modernità, pagando adeguatamente storici e “giornalisti” dell’epoca per tramandare versioni di comodo.

Così per secoli non si è riuscito a capire davvero né chi fossero i protagonisti della vicenda, né se il vero assassino fu il padre il marito o altri ancora, né chi fosse realmente la baronessa uccisa, né se il Vernagallo fosse stato anche lui trucidato oppure fosse fuggito. Lo stesso Castello di Carini, nei secoli, fu abbandonato dagli eredi e lasciato all’incuria e alla decadenza.

Ciò che però ha continuato a viaggiare nei secoli portando con sé la verità storica, è stata la voce popolare. In particolare un poemetto lirico in dialetto siculo composto da un anonimo contemporaneo alla vicenda, fortemente colpito dall’accaduto e dalla risonanza che aveva avuto in tutta la Sicilia al momento degli accadimenti (Piange Palermo, piange Siracusa). E non potendo essere scritta in documenti ufficiali, ha continuato a resistere per cinque lunghi secoli tramandata dai cantastorie ('cuntastorie'), quelli che giravano per i paesini con qualche strumento e con tabelloni disegnati - i fumetti dell’epoca - per diffondere e raccontare le storie più belle e più drammatiche.

E a partire dall’ottocento, con l’avvento di storici moderni e di ricercatori di etnomusicologia, la canzoncina popolare ha cominciato ad essere riscoperta e studiata come meritava. Si è quindi accertato che conteneva molte più verità storiche di qualunque documento esistente. Il professor Salomone Marino, in particolare, ne raccolse in giro per l’Italia quasi quattrocento versioni diverse, e con un lavoro immenso iniziò a fare luce sugli elementi che indubitabilmente concordavano con fatti e personaggi realmente esistiti. Ho scritto in giro per l’Italia perché lo splendido poema ha varcato i confini dell’isola per arrivare anche a Napoli, dando vita ad una delle ennesime versioni che ora è anche uno dei più classici pezzi della tradizione partenopea: “Fenesta ca lucive e mo’ nun luce” ("Finestra che splendevi e ora non splendi"). E il merito di averne fatto una versione quasi moderna, magari non filologicamente ineccepibile ma meritoria di uscire finalmente dalla ristretta cerchia degli studiosi, va ad Otello Profazio, cantante folk di origine calabrese degli anni Sessanta, che ne ha tra l’altro ritrovato la musica proprio in un paesino della Calabria, da un altro cantastorie. Infine, ma siamo proprio agli ultimi anni, un paio di documenti ufficiali ritrovati in Sicilia e in Spagna (regno cui rispondeva il Baronato) hanno definitivamente dato la certezza che su questo giallo cinquecentesco la canzone popolare, e solo lei, diceva la verità: il Barone Cesare Lanza uccise a sangue freddo la figlia Laura Lanza di Trabia, su istigazione del marito Barone di Carini Vincenzo La Grua. E uno dei suoi sgherri, tale Musso, uccise anche il Vernagallo in fuga.

Riportiamo qui il testo di uno dei documenti, davvero notevole nel linguaggio e nel significato, nel quale l’assassino, Cesare Lanza di Trabia, scrive al re di Spagna, Filippo II, per discolparsi del delitto della figlia:

“Sacra Catholica Real Maestà,
don Cesare Lanza, conte di Mussomeli, fa intendere a Vostra Maestà come essendo andato al castello di Carini a videre la baronessa di Carini, sua figlia, come era suo costume, trovò il barone di Carini, suo genero, molto alterato perchè avia trovato in mismo istante nella sua camera Ludovico Vernagallo suo innamorato con la detta baronessa, onde detto esponente mosso da iuxsto sdegno in compagnia di detto barone andorno e trovorno detti baronessa et suo amante nella ditta camera serrati insieme et cussì subito in quello stanti foro ambodoi ammazzati.

Don Cesare Lanza conte di Mussomeli”.

Per proseguire le infinite traiettorie di questa storia, non si può non citare il bellissimo sceneggiato televisivo realizzato e trasmesso dalla RAI in quattro puntate nel 1975, periodo televisivo prolifico e creativo come mai più. E’ L’amaro Caso della Baronessa di Carini, in cui una sceneggiatura assolutamente geniale sposta la vicenda ai primi dell’ottocento, dando modo di raccontare il periodo di transizione e conflitto fra il feudalesimo e il regno d’Italia, e in cui il delitto del cinquecento diventa un episodio del passato scomodo da ricordare e così intriso di significati anche politici da giustificare ogni nefandezza pur di tenerlo ancora nascosto, ancora a tre secoli di distanza, e immergendo così i protagonisti e discendenti in un’atmosfera di predestinazione e quasi di reincarnazione storica. Elegantissima regia di Daniele D’Anza, ottime prove d’attore di Ugo Pagliai nel suo periodo d’oro, di Adolfo Celi nella sua versione più gelidamente mefistofelica, di Janet Agren al massimo del suo splendore, e di un Paolo Stoppa narratore contrappuntista assolutamente fantastico. Titoli di testa in cui echeggiava, in una versione assai semplificata ma di forte impatto, la ballata della Barunissa cantata in siculo da un ispiratissimo Gigi Proietti.

E infine, ma solo per questa prima puntata, il Castello.

Fino ad un paio d’anni fa (io ci andai per la prima volta nel ‘95 o ’96), era ancora chiuso al pubblico e in uno stato di rovina quasi irreparabile. Ora, finalmente, è oggetto di un restauro notevolmente ricco ed accurato, che ne ha già restituito lo splendore per quasi due terzi della sua estensione. Tornatoci quest’estate, l’ho trovato visitabile in molte stanze e anche nella cappella interna: oltre ad essere un magnifico maniero, è un luogo che come nessun altro riesce a restituire l’atmosfera delle corti cinquecentesche, comprensive delle loro infinite trame di intrighi, passioni e atroci delitti.



P.S. Ho parlato di una prima puntata, perché ne ho già pronta una seconda, quasi temeraria. Delle tante versioni del poemetto ce ne è una considerata la più fedele al testo originario del cinquecento. E’ di una bellezza e di un’arte del racconto davvero notevoli, piena di metafore, flashback e flashforward, immagini di struggente poesia e momenti di feroce realismo. Tentarne una traduzione poetica in italiano è un’impresa già tentata e abbandonata da molti, perché il vernacolo siciliano risulta insostituibile. Il mio tentativo sarà di riportarla sì in italiano ma in prosa, per mantenere le immagini e le frasi il più possibile fedeli e al tempo stesso comprensibili. Operazione arbitraria e discutibile, ma noi di Parolae amiamo anche le sfide (e poi, lo ha fatto Baricco con l’Iliade, perché noi non potremmo?). Insomma, preparatevi: proverò con somma presunzione ("è uno sporco lavoro ma qualcuno deve pur farlo…") a raccontarvi la storia io, ma nel modo in cui decise di tramandarla ai posteri il magnifico anonimo del cinquecento.
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Adry



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MessaggioInviato: Dom Gen 21, 2007 00:45    Oggetto: Rispondi citando


Signuri patri chi vinisti a fari?

ovvero la triste storia della Baronessa di Carini - seconda puntata
di Alessandro Borgogno - 8/9/2006

Come promesso nella prima puntata di questa storia, ecco la mia indegna trasposizione in prosa del poema popolare della Baronessa di Carini. Segue l’originale in vernacolo siciliano, per chi voglia godersi la vera poesia…



Piange Palermo, piange Siracusa, tutta la Sicilia è in lacrime.

A Carini tutte le case sono in lutto, e chi fu la causa di questa atroce notizia possa non avere mai più pace nella sua casa.

In questo momento la mia mente è confusa e ho il cuore gonfio, e mi ribolle il sangue nelle vene. Vorrei che una modesta canzone, modesta ma piena di rispetto, piangesse colei che fu per la nostra casa e la nostra terra una colonna, la più bella stella che sorrideva nel cielo, un’anima senza ombre e senza veli, la stella più bella tra tutte le stelle: la povera Baronessa di Carini.

I suoi splendidi occhi sono ormai divorati dai vermi, seppelliti sotto la nuda terra, senza più nessun amico intorno, e conoscono ormai soltanto il mio povero amore di cantastorie.

E voialtri, tutti voi che avete appreso la tragica notizia, elevate il vostro pensiero solo al Signore, e non turbatela più, perché un giorno anche voi sarete come lei, vermi fra i vermi.

Fate solo elemosina e carità e solo così, andando anche voi in cielo, un giorno la ritroverete.

Fiumi, montagne e alberi, piangete anche voi. Sole e luna, non apparite più. La bella Baronessa che ora avete perduta, ebbene, era lei che vi dava i raggi innamorati per tutti gli innamorati. Uccellini dell’aria, cosa volete ora? Cercate il vostro amore, ma lo cercate invano! Barchette che venite lente a questi lidi, da oggi spingete le vostre piccole vele con il segno del lutto, un lutto davvero scuro, perchè è morta la Signora dell’amore.

Amore, amore, piangi questa tragedia, piangi quel gran piccolo cuore senza più pace, quegli occhietti, quella bocca benedetta di cui, mio Dio, non resta più neppure l’ombra!

Però, però c’è il sangue che grida vendetta, ed è ancora rosso nella parete, e grida vendetta, e aspetta vendetta!

E verrà. Perché c’è chi viene con piede di piombo, quello che solo governa il mondo.

Sì verrà, perché c’è chi viene con passo lento, ma prima o poi, anima di Caino, ti raggiungerà lo stesso.

Così avvenne. Attorno al castello di Carini passava e ripassava un bel Cavaliere, sia al mattino che alla sera, con gli occhi al cielo verso quella finestra, e girava come un’ape in aprile intorno ai fiori per coglierne il nettare. Eccolo ora che compare dalla pianura sopra un cavallo, bello, che vola senza ali. Ed eccolo ora di notte con il mandolino, e potete sentire nel giardino la sua voce.

Il Giglio soave che spande il suo profumo, avvolto fra le sue stesse fronde, per evitare gli invitabili affanni di quell’amore non risponde alle premure dell’amante. Ma dentro, ah, dentro è divorata da potenti fiamme, e si aggira sconvolta e confusa, finché il senno non le regge più. Perché è così. Perché così l’amore domina tutti.

Questo fiore è nato con gli altri fiori, e già a marzo cominciò a far cadere i suoi petali. Aprile e maggio ne hanno potuto godere l’odore, ma con il sole di giugno già prendeva fuoco, un fuoco che brucia in tutte le ore, un fuoco che brucia, che brucia e non consuma. Ed è questo grande fuoco che dà vita a quei due cuori, e li trascina insieme, come calamita, fin dentro le sue fiamme.

Vita dolce, questa vita d’amore, non superata mai da nessun’altra, se solo la si potesse vivere fino al colmo. Il sole del cielo passa, e poi si ferma, e poi ancora le stelle lo seguono a ruota. E così una piccola catena, piccola ma invincibile, stringe i loro cuori e li fa battere insieme, e quella stessa felicità li colora, li colora d’oro e di rosa.

Ma l’oro fa l’invidia di cento e più persone, e la rosa è bella, ma è fresca solo per un momento.

E così avvenne. Il Barone era appena tornato dalla caccia: “Mi sento stanco” disse “Voglio riposarmi”.

Ma proprio allora si presenta alla porta per parlargli un piccolo frate, infame e traditore.

“Sono stati insieme tutta la notte!” gli dice “Lunghe confidenze hanno da farsi!”

Gesù Maria, che brutta aria che si alza in un istante! Inequivocabile segnale di tempesta!

E intanto il fraticello se ne va, ridacchiando soddisfatto, e di sopra, nelle sue stanze, il barone si agita infuriato.

Fu allora che la luna s’ammantò di nuvole, e svolazzò il gufo, spaventato persino lui.

E fu allora che il barone afferrò spada ed elmo e spronando il cavallo gli gridò nel buio: “Vola cavallo! Fuori da Palermo! E voi, miei fedeli, benché sia notte, seguitemi e tenetemi dietro!”

Ormai già una luce rosata si posava sulla schiena di Ustica, laggiù in mezzo al mare.

La rondinella che vola e si solleva, come per salutare il sole, vede spesso il suo volo interrotto dall’arrivo dello sparviero, e timida e terrorizzata si nasconde dentro il nido, nella speranza di potersi salvare.

Questa stessa paura e questo stesso terrore toccò alla Baronessa di Carini mentre, affacciata al suo balcone, si beava del suo amore.

Sentì il rumore, guardò verso la pianura.

“Vedo venire una cavalleria, questo è mio padre che viene per me! Arriva seguito da molti cavalieri, si, è mio padre, che mi viene ad ammazzare…”

“Signor Padre, che veniste a fare?”

“Signora Figlia, vi vengo ad ammazzare!”

“No, Signor padre, datemi almeno un po’ di tempo, poco appena, almeno per chiamare il mio confessore!”

“E’ da tanti anni che ci prendi in giro, e adesso vai cercando la confessione? Questa non è ora di confessioni, e neppure di ricevere il Signore!”



Dette queste parole spietate, sguainò la spada e le squarciò il cuore.

Al primo colpo la donna cadde, al secondo colpo, la donna morì.

Ma ancora non sapete quanta pena, per quell’anima infelice, quando si vide senza nessuno che venisse in suo aiuto. Era perduta, e cercava qualche amico, e correndo disperata da una sala ad un’altra nel grande castello voleva sfuggire alla morte e gridava forte: “Aiuto, carinesi! Aiuto, aiuto! Vuole uccidermi!”

E infine distrutta disse “Cani carinesi!”, e questo fu il suo ultimo grido.

Ultimo grido e ultimo spasimo, perché poi perse il sangue, e poi perse il colore.

E allora almeno correte adesso, correte tutti, gente di Carini, ora che è morta la vostra Signora, ora che è morto il giglio che fioriva qui da voi, e ne ha colpa un cane traditore.

Correte tutti, monaci, padrini, sacerdoti, e datele almeno onorata sepoltura. Correte tutti, buoni paesani, e portatela almeno alla tomba in degna processione.

Di lì a poco, la terribile notizia giunse anche al palazzo, e la nonna cadde a terra svenuta, e le sorelline si strapparono i capelli, e gli occhi della mamma si chiusero e non vollero vedere più nulla. E un attimo dopo si seccarono i garofani nei vasi, e a lungo restarono spoglie le finestre. E il gallo che cantava non cantò più, e sbattendo le sue ali fuggì via.

E ora guardate, e ascoltate: a due e a tre si riuniscono le genti, e fanno crocchio con il cuore tremante, e per la città si ode un brusio del calabrone che pare un gemito e un pianto. “Che mala morte, che morte atroce, lontana dalla madre a dall’amante, l’hanno seppellita di notte, al buio, e anche il becchino aveva paura”.

E così né io né nessun altro ti ha potuto ornare di fiori, né ha più rivisto il tuo bel volto.

Ho il cuore spezzato, e neanche riesco più a parlare mentre sono qui, in ginocchio, sopra la tua lastra di marmo.

Povero ingegno mio, cerca di mettere le ali e volare via, alto, e cancellare così questo nero dolore. Per poter davvero scrivere e fermare le mie lacrime, dovrei avere la mente del Re Salomone, ma non ce l’ho.

E così la mia piccola barca resta fuori dal porto, senza guida, in mezzo alla tempesta.



LA BARUNISSA DI CARINI

I

Chianci Palermu, chianci Siracusa

Carini c'e' lu luttu ad ogni casa...

cu' la purtau sta nova dulurusa

mai paci possa aviri a la so' casa...

aju la mente mia tantu cunfusa...

lu core abbunna... lu sangu stravasa.

Vurria na canzunedda rispittusa...

chiancissi la culonna a la me' casa;

la megghiu stidda chi rideva in celu,

anima senza cappottu e senza velu

La megghiu stidda di li Serafini...

povira Barunissa di Carini!...

II

Ucchiuzzi beddi di vermi manciati

ca sutta terra vurvicati siti...

tutti amici cchiu' non vi truvati,

vui sulu lu me' amuri canusciti...

Pinsati a Diu e cchiu' nun la turbati!...

Ca un journu comu idda vui sariti...

Limosina faciti e caritati

ca un jornu 'nparadisu la truvati.

III

Ciumi, muntagni, arvuli chianciti...

Suli cu Luna cchiu' nun affaciati!

La bedda Barunissa chi pirditi,

vi li dava li raj 'nnamurati!

Acidduzzi di l'aria, chi vuliti?

Lu vostru amuri 'mmatula circati!

Varcuzzi chi a sti prai lenti viniti,

li viliddi spincitili alluttati...

ed alluttati cu li lutti scuri,

ca morsi la Signura di l'amuri.

IV

Amuri, amuri, chiànciti la sditta!

Ddu gran curuzzu cchiù nun t'arrisetta...

dd'ucchiuzzi, dda vuccuzza biniditta,

o Diu! Chi mancu l'ummira nni resta!

Ma c'è lu sangu chi grida vinnitta,

russu a lu muru... e vinnitta nn'aspetta.

E c'è cu veni cu pedi di chiummu...

Chiddu chi sulu guverna lu munnu...

E c'è cu veni cu lentu cammino

ti iunci sempri, arma di Caino...!

V

Attornu a lu Casteddu di Carini,

ci passa spesso un beddu Cavaleri;

ci passa matinati e siritini,

l'ucchiuzzu a li finestri sempri teni...

giria come làpuzza 'ntra l'aprili,

n'torno a li ciuri pi cogghiri lu meli;

ed ora pi lu chianu vi cumpari,

supra d'un baju chi vola senz'ali...

ora di notti cu lu minnulino,

sintiti la so vuci a lu jardinu.

VI

Lu gigghiu finu, chi l'uduri spanni,

ammugghiateddu a li sò stessi frunni,

voli cansari l'amurusi affanni...

e a tutti sti primuri nu' rispunni;

ma dintra adduma di putenti ciamuni.

Va trasannata e tutta si confunni...

e sempri chi lu sensiu'u n'ha valuri,

ca tutti accussi' domina l'amuri.

VII

Stu ciuriddu nasciu cu l'autri ciuri...

spanpinava di marzu a pocu a pocu

aprili e maju nni godiu l'oduri...

cu lu suli di giugnu pigghiau focu;

e di tutt'uri stu gran focu adduma...

adduma di tuttùri e nun cunsuma...

stu gran focu a dù cori duna vita...

li tira appressu comu calamita.

VIII

Chi vita duci, ca nuddu la vinci,

gudirila a lu culmu di la rota!

Lu suli di lu celu, passa e 'mpinci

li stiddi ci si mettinu pi rota!

'na catinedda li curuzzi strinci,

battinu tutti dui supra 'na mota,

e la filicitá chi li dipinci

attornu, attornu d'oru e di rosa;

ma l'oru fa invidia di centu,

la rosa è bedda e frisca pi un mumentu.

IX

Lu barumi di caccia avia turnatu...

- mi sentu stancu, vogghiu arripusari -

quanno a la porta si ci ha prisintatu

un munacheddu e ci voli parrari;

tutta la notti 'nsemmula hannu statu...

la cunfidenza longa l'hannu a fari

Gesù Maria! Chi ariu 'nfuscatu

chistu di la tempesta è lu signali!

Lu munacheddu nisceva e ridia,

e lu baruni susu sdillinia.

X

Di nuvuli la luna s'ammugghiau...

lu jacabu scantatu sbulazzau;

afferra lu baruni spada ed elmu...

- vola cavaddu, fora di Palermu...

prestu, fidili, binchì notte sia,

viniti a la me spadda 'ncumpagnia.

XI

'Ncarnatedda calava la chiaria

supra la schina d'Ustica a lu mari;

la rininedda vola e ciuciulia

e s'ausa pi lu suli salutari;

ma lu spriveri cci rumpi la via,

l'ugnidda si li voli pilliccari,

timida a lu so niru s'agnunìa,

a mala pena ca si po' sarvari.

XII

Simili scantu, simili tirruri

appi la Barunissa di Carini.

Era affacciata 'nta lu so balcuni

chi si pigghiava li spassi e piaciri...

- Viu viniri la cavalleria...

chistu è mè patri chi vini pi mia...

Viu viniri 'na cavallarizza,

forsi è mè patri chi mi veni ammazza

- Signuri patri chi vinisti a fari?...

- Signura figghia, vi vinni ammazari.

XIII

- Signuri patri, accurdatimi un pocu,

quanto mi chiamu lu me confissuri!

- Avi tant'anni chi la pigghi a jocu,

ed ora vai cercannu cunfissuri?

Chista'un è ura di cunfissioni.

E mancu di riciviri Signuri!

E comu dici sti amari parole,

tira la spada e ci scassà lu cori.

Lu primu colpu la donna cariu...

l'appressu colpu la donna muriu.

XIV

Oh chi scunfortu pi dd'arma 'nfilici

quannu 'un si vitti di nuddu ajutari!

Era abbattuta e circava l'amici...

di sala in sala si vulia salvari...

gridava forti:- aiutu carinisi...

aiutu, aiutu... mi voli ammazzari!...

Dissi arraggiata:- cani carinisi!

L'ultima vuci chi putissi dari...

I'ultima vuci e l'ultimu duluri...

ca persi gia' lu sangu e lu culuri.

XV

Curriti tutti, genti di Carini,

ora che morta la vostra Signura:

mortu lu gigghiu chi ciuria a Carini...

'nnavi curpanza un cani tradituri!

curriti tutti, monaci e parrini,

purtativilla 'nsemi in sepoltura...

curriti tutti, paisaneddi boni,

purtativilla in gran processioni.

XVI

La nova allura a lu palazzu ju...

la nunna cadiu 'nterra e strangusciau:

ii so suruzzi capiddi 'un avianu,

la so matruzza di l'occhi annurvau...

Siccaru li garofali a li grasti,

e sulu c'arristaru li finestri.

Lu gaddu chi cantava 'un canto' chiui

va sbattennu l'aluzzi e sinni fui.

XVII

A dui, a tri s'arrotano li genti,

fannu concùminu cu pettu tremanti:

pi la citati un lapuni si senti,

'mmistatu di ruccoli e dichianti:

- chi mala morti! chi morti dulenti!

Luntana di la matri e di l'amanti:

la vurvicaru di notti a lu scuru...

lu beccamortu si scantava puru.

XVIII

Iu nun ti potti di ciuri parrari

iu nun la vitti cchiu' la to fazzouni:

mi nesci l'arma nun pozzu ciatari

supra la to balata addinucchiuni.

Poviru 'ngegno miu, mettiti l'ali,

dispincimi stu niuru duluri:

pi li me l'armi scriviri e nutari

vurria la menti di re Salumuni...

La me' varcuzza forsa 'menzu la timpesta!
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Adry



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MessaggioInviato: Dom Gen 21, 2007 00:46    Oggetto: Rispondi citando




IL CASTELLO DELLA BARONESSA DI CARINI.
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wendy



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MessaggioInviato: Dom Gen 21, 2007 01:17    Oggetto: Rispondi citando


Bellissimo,Adry..il testo è di grande suggestione e drammaticita'!

Molto bravo il traduttore,ma il testo originale ci riporta ancora di piu' nel tempo.Bellissime le immagini topiche e quelle riferentesi alla natura...C'è un che di ingenuo,tipico della cultura popolare.

Sai,mentre lo leggevo, lo immaginavo cantato da uno dei Pupari...

In Sicilia l'opera dei pupi,mi pare, mantiene intatta la sua tradizione!

Grazie!

wendy Smile
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nanà



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MessaggioInviato: Dom Gen 21, 2007 09:19    Oggetto: messaggio Rispondi citando


Ciao Adry, come mai hai postato la storia della Baronessa di Carini?
Io ho visitato il Castello qundo erano appena terminati i restauri e ancora non era accessibile al pubblico. Concessione fattami da un amico che sa quanto ami la storia, la Sicilia e quanto mi affascini la figura della Baronessa.
Grazie per questo tua iniziativa, un tuffo nel passato e per me il ricordo di una giornata assolata e spensierata.
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MessaggioInviato: Dom Gen 21, 2007 12:25    Oggetto: Rispondi citando


Mia carissima Nanà, Very Happy
credo che la nostra Adry l'abbia fatto per farci conoscere la storia da cui sarà tratta una mini fiction in due puntate credo di cui la nostra Vittoria sarà protagonista...inizierà le riprese a Marzo...e colgo l'occasione per ringraziare sinceramente Adry per aver reperito questi testi e articoli..avendoli letti ho ancora più voglia di vedere come sarà questa fiction, che si presenta dalla trama già molto interessante.... Wink
Grazie mille, e un in bocca al lupo grandissimo a Vittoria perchè dia il meglio di sè anche in questo progetto...Sono certa che andrà alla grande!
Very Happy

Un bacione! Embarassed Very Happy

Maria Giulia
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laura93



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MessaggioInviato: Dom Gen 21, 2007 12:57    Oggetto: grazie adry! Rispondi citando


grazie adry per averci scritto la storia della baronessa.... io sono a due ore di distanza dal castello, ma non ci sono mai andata. ma la sapete la storia del fantasma della baronessa e del quadro?



BACI BACI



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Lory1984



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MessaggioInviato: Dom Gen 21, 2007 13:04    Oggetto: Grazie Adry Rispondi citando


Cara Adry!!!

Complimenti e grazie per questi interessanti articoli che ci permettono di conoscere e scoprire le leggende e le tradizioni di una meravilgiosa Terra come la tua Sicilia!!!

Lory
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sere91



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MessaggioInviato: Dom Gen 21, 2007 13:31    Oggetto: Rispondi citando


GRAZIE ADRY!! Very Happy io amo la storia della baronessa di carini!!! Very Happy Very Happy Very Happy Very Happy Very Happy Very Happy da piccolina mio padre m portava a vedere musical e qst storia l'ho conosciuta attraverso il musical di tony cucchiara (un regista) e so tutte le canzoni a memoria!!! Very Happy lui ha fatto anke "Pipino il breve", "La fanciulla ke campava di vebto" "Caino e Abele" e altri ancora.... sono tutti fantastici!!! ma ki l'avrebbe mai detto ke vittoria avrebbe interpretato il ruolo della baronessa laura lanza??? nn ho mai collegato le due cose!!! Very Happy sn davvero felice!!! spero di sapere presto altre notizie su qst minifiction! Exclamation
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SERENA

"La bambina a scuola di danza potrà non diventare mai una ballerina professionista, ma la cortesia e la grazia così come la gioia del movimento, la toccheranno sempre.."
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genziana



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MessaggioInviato: Dom Gen 21, 2007 14:23    Oggetto: VITTORIA PUCCINI girerà a marzo 'LA BARONESSA DI CARINI' Rispondi citando


FLAIR - N. 2 - febbraio 2007 ha scritto:

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genziana



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MessaggioInviato: Dom Gen 21, 2007 14:23    Oggetto: VITTORIA PUCCINI girerà a marzo 'LA BARONESSA DI CARINI' Rispondi citando


FLAIR - N. 2 - febbraio 2007 ha scritto:



L'ultima modifica di genziana il Ven Ott 05, 2007 00:22, modificato 1 volta
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genziana



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MessaggioInviato: Dom Gen 21, 2007 14:24    Oggetto: VITTORIA PUCCINI girerà a marzo 'LA BARONESSA DI CARINI' Rispondi citando


FLAIR - N. 2 - febbraio 2007 ha scritto:


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L'ultima modifica di genziana il Ven Ott 05, 2007 00:29, modificato 1 volta
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MessaggioInviato: Dom Gen 21, 2007 17:17    Oggetto: Rispondi citando


Grazie Giuly.... Very Happy
Vittoria, grazie per le belle parole che ogni volta ci regali..spiazzi per la tua maturità,la delicatezza e la verità che metti in ogni tua intervista... in bocca al lupo per tutto! Ti abbracio forte a te, e alla tua famiglia Very Happy Embarassed

Col cuore,

Maria Gulia
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