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Nuovo argomento   Rispondi    Indice del forum -> Forum Alessandro Preziosi
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genziana



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MessaggioInviato: Mer Gen 23, 2019 15:42    Oggetto: RAIPLAY tv movie LIBERI DI SCEGLIERE con Alessandro PREZIOSI Rispondi citando




    rivedi in esclusiva su RAIPLAY.IT il tv movie Rai 1

    LIBERI DI SCEGLIERE regia di Giacomo Campiotti

    nel ruolo del magistrato: ALESSANDRO PREZIOSI







    cast artistico: Nicole Grimaudo, Carmine Buschini,
    Federica Sabatini, Federica De Cola,
    Corrado Fortuna, Vincenzo Palazzo,
    Andrea Bellisario, Lollo Franco, Naike Silipo,
    e con la partecipazione di Francesco Colella;

    scritto da Monica Zapelli con la collaborazione di:
    Sofia Bruschetta, Ivano Fachin, Giovanni Galassi,
    Tommaso Matano; prodotto da Angelo Barbagallo

    in coproduzione con RAI FICTION e BIBI FILM TV

fotografia: Stefano Ricciotti; montaggio: Roberto Missiroli con Marco Monardo; musica: Stefano Lentini; ediz. musicali Rai.com; scenografia: Sabrina Balestra; costumi: Gaia Calderone; suono: Glauco Puletti.







Congratulazioni! da Alessandro Preziosi official Forum



"Grandissimo risultato per il film tv "Liberi di scegliere", interpretato da Alessandro Preziosi e trasmesso su Rai1 ieri, martedì 22 gennaio. Una storia che insegna come nessuno di noi ha un destino gia' scritto e che anche i figli onesti di famiglie di 'ndrangheta possono sognare e costruire un futuro diverso e migliore per loro, ha stravinto il prime time con 4 milioni 179 mila spettatori e share del 17.7". Ufficio Stampa Rai










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genziana



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MessaggioInviato: Mer Gen 23, 2019 19:11    Oggetto: LIBERI DI SCEGLIERE 22/01/19 presentazione a Camera Deputati Rispondi citando











LIBERI DI SCEGLIERE è stato presentato ieri 22/1 nel

Palazzo dei Gruppi Parlamentari, Camera dei Deputati










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genziana



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MessaggioInviato: Gio Gen 24, 2019 18:24    Oggetto: LIBERI DI SCEGLIERE: Red Carpet magazine intervista PREZIOSI Rispondi citando





Red Carpet Magazine intervista Alessandro PREZIOSI




ha scritto:






    Alessandro Preziosi LIBERI di SCEGLIERE


    « La responsabilità di ogni nostra scelta »



La profondità umana, l’attenzione ad ogni sua interpretazione, il bisogno di ascoltare ogni suo personaggio e capirne la natura. Alessandro Preziosi, da sempre, prende parte a progetti e a film consapevoli e di grande impatto emozionale. Un attore dallo sguardo profondo e sensibile, netto e deciso interpreta con dedizione e immediata realtà il personaggio di Marco Lo Bianco, ispirato al giudice Roberto Di Bella, nel film LIBERI di SCEGLIERE del regista Giacomo Campiotti. Raccontare e vivere la legge e la sua verità è una responsabilità grande e incessante che Alessandro Preziosi ha saputo cogliere, in ogni suo ruolo e in ogni tempo, grazie al suo mestiere e al suo operato.

Benvenuto, Alessandro. Come descriverebbe il personaggio da lei interpretato nel film LIBERI di SCEGLIERE?

Il giudice Marco Lo Bianco, prima di tutto, è profondamente schivo. Questo suo essere ne condiziona una serie di comportamenti sia all’interno della sua famiglia, sia nelle situazioni calde del lavoro che svolge con i suoi colleghi, con i volontari che lo aiutano. Marco Lo Bianco mi ha ricordato un po’ mio padre, una persona di poche parole, sempre nel pieno controllo di ciò che doveva gestire. Trovo che questo sia uno dei personaggi più delicati che ho interpretato, fino ad ora. Non riesco a descriverlo in modo totale perché, per fortuna, va visto e non raccontato.

Nel film viene raccontata la storia del protocollo ‘Liberi di scegliere’, progettato dal Presidente del Tribunale per i Minorenni di Reggio Calabria. Cosa l’ha spinta a prendere parte a questo progetto?

Il protocollo ‘Liberi di scegliere’ propone una rete di protezione e di sostegno per tutelare e assicurare una concreta alternativa di vita ai minori e alle loro madri, provenienti da famiglie mafiose. Sono venuto a conoscenza di qualcosa di nuovo. Ero curioso di raccontare un giudice non seduttivo, non carismatico, che non avesse le classiche “cavallerie rusticane” che ne accompagnano le gesta. Racconto semplicemente un uomo che fa il suo lavoro. Spesso si dimentica che è questo quello che conta ed è fondamentale: fare il proprio lavoro. Se la libertà di fare il proprio mestiere, ciò per cui una persona si sente portato, viene a mancare allora: non c’è legge, non c’è cosa che possa aiutare.

In che modo si è documentato per interpretare al meglio il personaggio di Marco Lo Bianco?

Mi sono documentato su tutta la storia e l’attività del giudice Roberto Di Bella, a cui si ispira la storia. Ho letto molti articoli di giornale che raccontavano le reazioni delle madri a cui erano stati tolti i figli perché erano ormai contaminati dal male.
Quando si fa il mio mestiere, la documentazione è utile per intrecciare la propria suggestione e la propria fantasia con piccoli elementi che diventano importanti. Mi ha molto aiutato riscontrare nel giudice Di Bella una natura schiva, un disinteresse totale dal sedurre l’interlocutore, dal sembrare carismatici. La narrazione ha aiutato il personaggio a risultare così. La cosa più affascinante per un attore è quella di non ritrovarsi nel personaggio che interpreta, in questo caso il personaggio di Marco Lo Bianco mi ha fatto invidia. Avrei tanto voluto essere come lui, so che non lo sarò mai. Questo fa parte del mio mestiere.


Quale spera possa essere il messaggio che LIBERI di SCEGLIERE può dare ai telespettatori che lo guarderanno?

Il messaggio che questo film riesce a dare è quello di credere che la propria coscienza sia qualcosa che prescinda dal fatto che lo Stato ti possa o meno indicare la strada maestra. La coscienza ce l’hai perché è la tua famiglia che ti permette di averla. La famiglia è il centro e il fulcro di questa storia, non lo Stato. Inoltre, il lavoro del mio personaggio coincide con tutti i lavori. Se nel tuo lavoro, sei un professionista determinato e sai fare il tuo lavoro, intorno a te avrai un riscontro importante. Il messaggio più bello che ho ricevuto come professionista, come padre, come uomo ed ex studente di legge è che la legge comincia ad essere una verità oggettiva, e non soltanto un’opinione, quando è l’individuo a decidere di metterla in pratica.

Cosa pensa di aver ricevuto umanamente e professionalmente dall’esempio e dall’operato del giudice Di Bella?

Il grande esempio che il giudice Di Bella mi ha regalato è che, prima di imporre una scelta a qualcuno, devi aver capito e centrato la tua scelta. La scelta è quella di essere un individuo e non uno dei tanti che appartiene ad un sistema bloccato nel far funzionare determinate cose in maniera corretta e definitiva. La scelta del giudice sta nel dire: ‘io scelgo una vita rischiosa, metto a repentaglio la mia piccola comunità, scelgo di agire all’interno dell’adolescenza in determinati contesti. Sono in grado di attecchire sulle persone a cui mi rivolgo’.

Cosa significa avere la possibilità e la libertà di scegliere nella propria vita e nel proprio lavoro, per lei?

Un uomo ha valore nella storia di un Paese quando condiziona la responsabilità sociale e la nostra coscienza morale. La libertà di scegliere, una volta che l’hai decisa e messa in pratica, determina una responsabilità. Mi ha sempre colpito questo: fare il proprio dovere. Trovo che questa sia la cosa che più mi commuove. Mi sono trovato ad interpretare un giudice che aveva il coraggio di scegliere senza che morisse e si immolasse. Questa è la grande forza del film LIBERI di SCEGLIERE in cui sono stato coinvolto. Sono un esempio importante le persone che non vivono più per se stessi ma per far vivere i loro obiettivi e le loro idee. La mia professoressa di matematica, quando studiavo, mi diceva: Preziosi, lei ha fatto metà del suo dovere.

In che modo e con quali mezzi un attore rende il suo personaggio un uomo positivo e buono?

Quando interpreto un personaggio, mi porto fino alle estreme conseguenze. Per poter rendere visibile la bontà del mio personaggio in LIBERI di SCEGLIERE, per esempio, mi sono sempre confrontato con il regista Giacomo Campiotti. Non bastano le buone intenzioni per rendere un personaggio buono. Bisogna avere una progressione profondamente intima, di grande pace, di grande centratura in quello che vuoi ottenere dal tuo personaggio. Questo accade anche quando interpreti un personaggio negativo. Pensare al bene dell’altro è molto importante. La bontà di un personaggio è tale, dal punto di vista recitativo e narrativo, quando hai la sensazione che ciò che fa il tuo personaggio lo fa per gli altri. Quando vuoi fare il bene dell’altro, riesci a mettere in campo la bontà. Così come al contrario, quando tu non vuoi il bene dell’altro ma soltanto il tuo personale, diventi una persona cattiva.



Anna Chiara Delle Donne, 22/01/19, pubblicato: RedCarpetMagazine.it






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genziana



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MessaggioInviato: Gio Gen 24, 2019 19:08    Oggetto: LIBERI DI SCEGLIERE di Giacomo Campiotti RAIPLAY, recensione Rispondi citando



ha scritto:




.ASCOLTI TV :- VINCE "LIBERI DI SCEGLIERE"

.VIA DALLA 'NDRANGHETA VERSO LA LIBERTA'

.il film di CAMPIOTTI ispirato a una storia vera.





"Prima ero forte, adesso sono debole. Prima sapevo sempre che cosa fare, adesso ho solo dubbi. Prima non riuscivo nemmeno a ridere, adesso mi viene sempre voglia di piangere. Prima mi piacevo, adesso non so più nemmeno chi sono."

"Però adesso sei libero, puoi finalmente scegliere." "E allora me ne voglio andare, giudice. Lontano dalla Calabria. Voglio scomparire, voglio andare in un posto dove non mi cerca più nessuno, né mio padre, né voi. Mi aiutate?".


E' uno dei dialoghi finali, di quelli che restano scolpiti, del bellissimo film di Giacomo Campiotti, "LIBERI DI SCEGLIERE", che ha vinto la serata di martedì in tv. E questa è una notizia confortante. Il completamento di un percorso difficile, iniziato con asprezza da Domenico Tripodi (un bravissimo Carmine Buschini, ex braccialetto rosso) che viene strappato alla famiglia 'ndranghetista da un giudice testardo, Marco Lo Bianco (Alessandro Preziosi, perfetto nel ruolo), il quale non potendolo condannare lo affida, però, ai servizi sociali, non in Calabria ma in Sicilia. L'approccio è devastante tanto che le convinzioni del giudice vacillano, pensa di aver sbagliato e di riaffidarlo alla famiglia. Ma gli assistenti sociali gli consigliano di insistere. E Domenico, un po' alla volta, si libererà del peso opprimente della figura del padre, si libererà degli psicofarmaci, scoprirà di essere un adolescente come gli altri, che ha diritto di vivere libero, di sorridere, di andare al mare, di stare con gli amici, di dormire la notte, senza la paura di una irruzione dei carabinieri. La nuova vita è ricca di emozioni e di sentimenti e di cose che non ha potuto fare. E' chiaro che Domenico non vuole finire come suo padre, nascosto sulle montagne, braccato dalle forze dell'ordine, con la sola compagnia di capre e maiali. No, quella non è vita. Riesce, dunque, alla fine, dove il fratello Giovanni (Vincenzo Palazzo), aveva fallito per non tradire il padre. A seguire Domenico, nello stesso percorso di distacco sarà invece la sorella Teresa (Federica Sabatini), già promessa sposa (dal padre) a un giovane malavitoso del paese. Lei non vuole fare la stessa fine di sua madre.

Il film è ispirato a una storia realmente accaduta. Dal 2012 ad oggi il Tribunale per i Minorenni di Reggio Calabria ha allontanato dalle famiglie 'ndranghetiste 40 ragazzi. Il giudice (Lo Bianco), che aveva iniziato da solo, ora solo non lo è più. Può contare sulla collaborazione dei Ministeri di Grazia e Giustizia e dell'Interno, dell'Associazione LIBERA, del Dipartimento delle Pari Opportunità, della Procura Nazionale Antimafia e della Conferenza Episcopale Italiana. E se la mamma di Domenico (Nicole Grimaudo) decide di restare in Calabria, in realtà sono state molte le madri che hanno deciso di seguire i loro figli, di scomparire, di fuggire da un destino segnato per inseguire un sogno, una vita normale.

Come dicevamo, il film ha nettamente vinto la serata. [...]

Auditel, 22/01/19, Rai1: 4.179.000 spettatori (share 17,67%)



Adriano Lorenzoni - 24/01/19 - pubblicato via TERNIinRETE.it Notizie










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franca3



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MessaggioInviato: Gio Gen 24, 2019 20:43    Oggetto: Rispondi citando


Bravissimo ..Bravissimo.. Bravissimo
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genziana



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MessaggioInviato: Sab Gen 26, 2019 12:48    Oggetto: RAI RADIO 1 SCIARADA intervista ALESSANDRO PREZIOSI 26/01/19 Rispondi citando








    RAI RADIO 1 intervista ALESSANDRO PREZIOSI

    sabato 26/01/19 SCIARADA 12:30 RaiPlayRadio

    si parla di LIBERI DI SCEGLIERE e di Van GOGH



Sciarada le parole dello spettacolo” condotto da Carlotta Tedeschi.

E’ veramente versatile, Alessandro Preziosi, attore di rango che passa con agilità dalla commedia brillante sul grande schermo, al dramma in teatro, alle fiction in televisione, sempre con successo e con grande naturalezza. E ora confessa anche un suo ulteriore nuovo progetto: il suo documentario sul dopo terremoto del Belìce.




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genziana



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MessaggioInviato: Sab Gen 26, 2019 14:09    Oggetto: RAI 1: LIBERI DI SCEGLIERE di Giacomo CAMPIOTTI - recensione Rispondi citando



ha scritto:




Liberi di scegliere” - un cambiamento possibile




Liberi di scegliere”, per la regia di Giacomo Campiotti, è un film ispirato alla storia vera del giudice Roberto Di Bella, presidente del Tribunale per i Minorenni di Reggio Calabria, che ha emesso un provvedimento di portata storica e rivoluzionaria. Lasciando e lanciando un esempio indelebile. Se il mondo ha bisogno di best practices, eccone senz’altro una. Nel film è interpretato da Alessandro Preziosi (che già ricordiamo nel ruolo recitato per la serie tv del 2017, per la regia di Giulio Manfredonia: “Sotto copertura – La cattura di Zagaria”), ma prende il nome di giudice Marco Lo Bianco. Tuttavia ciò non muta la rilevanza del gesto simbolico attuato dal magistrato; tanto che il film ha ricevuto il sostegno della Calabria Film Commission, di cui il presidente della Regione Oliverio, si è detto “orgoglioso e soddisfatto”. Nel film c’è la convinzione che una sorte atroce tocchi ai figli della ‘ndrangheta, perché “la ‘ndrangheta non si sceglie, si eredita”; e quindi sono destinati a fare la fine di chi li ha preceduti: ovvero o ad essere ammazzati o a finire in carcere. Si proverà, però, a sovvertire tale presupposto, quasi pregiudiziale ed accettato con sudditanza. Ma c’è chi questa rassegnazione passiva proprio non la conosce e sono quelli come il giudice Lo Bianco o come tutti i giovani coetanei di Domenico Tripodi e di sua sorella Teresa; oppure di donne coraggiose come la moglie del boss Tripodi per l’appunto. Ma andiamo a conoscere più da vicino i protagonisti e la trama.

Il film si apre con una scritta, una frase che getta subito la luce dei riflettori sulla gravità della problematica che si andrà ad affrontare: perché spesso tante parole non servono, bastano pochi dati e cifre a rendere chiaro tutto e a far capire quanto sia importante non rimanere indifferenti. Quasi fosse un incipit, si dice: “la ‘ndrangheta è l’unica organizzazione criminale, presente in tutti e cinque i continenti, con un fatturato di circa 53 miliardi l’anno”. Per questo il giudice Lo Bianco si appellerà alla madre (interpretata da Nicole Grimaudo) del giovane 17enne Domenico (di cui veste i panni Carmine Buschini) affinchè lo porti via dalla Calabria “il prima possibile, il più lontano possibile”. Infatti è il 24 dicembre del 2006, quando a San Giovanni (sullo stretto di Messina), la polizia con un’irruzione entra nel rifugio segreto dei Tripodi, dove tutto era pronto per festeggiare il Natale. Il padre riesce a scappare, a fuggire, ma sarà sempre costretto ad essere latitante, il fratello Giovanni invece viene arrestato. Sarà in questa occasione che il giudice parlerà con la madre per cercare di ‘salvare’ Domenico; vedendo la ritrosia della donna, deciderà di procedere chiedendo l’affidamento per il 17enne ai servizi sociali di un’altra regione, la Sicilia, fino al compimento dei 18 anni di età. Così facendo, infatti, non solo fa sì che il ragazzo sia allontanato dalla Calabria e dalla sua famiglia, ma toglie la patria potestà, ovvero la responsabilità genitoriale, tanto al padre boss latitante appunto, quanto alla madre.

Non sarà facile all’inizio, perchè anche Domenico rifiuta tale scelta. Il giudice Lo Bianco insiste che è una misura presa a tutela dell’adolescente, un provvedimento teso a far sentire la presenza della giustizia italiana e dello Stato. Chiare le sue parole: “Noi, lo Stato, ci siamo. Dobbiamo salvarlo, non possiamo restare a guardare anche stavolta”. Già, perché è questo: a volte si arriva troppo tardi, non si fa abbastanza, o non al momento giusto, quando si poteva ancora fare qualcosa e si era ancora in tempo. Perché i figli della ‘ndrangheta sanno che spesso non hanno scelta e che devono crescere in fretta. Un esempio? Basti pensare a questo aneddoto. Che cosa può desiderare come regalo di Natale un bimbo di dieci anni? Forse una macchina giocattolo telecomandata, o la playstation, un abbonamento allo stadio per vedere la propria squadra del cuore giocare? Beh, a Domenico, quella fatidica notte del 24 dicembre 2006, il padre fa maneggiare, quasi a donare, un fucile enorme, tipo un kalashnikov. Per questo ha bisogno d’aiuto e il giudice intende dargli tutto il suo supporto. L’estensione dello stretto di Messina, che separa (o unisce) la Calabria dalla Sicilia, è uguale alla distanza che c’è tra la libertà di Domenico e la sua ‘prigionia’, tra la sua salvezza e la sua condanna.

Il film racconta che cosa significhi essere figlio di un boss della ‘ndrangheta in maniera semplice, ma efficace. L’intensità dell’interpretazione degli attori protagonisti e i paesaggi delle montagne circostanti calabresi fanno il resto. Lacrime non ne mancheranno. Mentre si costruisce il cambiamento, per edificare un futuro diverso e migliore, il senso di disorientamento è forte. Il tormento di giovani, combattuti e frastornati a volte, è sorprendente e colpisce profondamente. Sicuramente la regia di Giacomo Campiotti aiuta a creare questa sensazione di progressione, alternata alla stasi, alla regressione a volte, a un passato che richiama, che ci ritira indietro come una corda a cui siamo legati da un laccio forte e stretto.

Il giudice Lo Bianco, convinto che con la ‘ndrangheta si viva tutti male (donne, giovani e pure i boss), vuole che Domenico sappia che si può vivere in modo migliore. Mettendo in atto quel provvedimento che tanto scalpore farà, così come si era fatto finora per i figli dei tossicodipendenti o per gli orfani. Sarà una sentenza che stravolgerà la vita di tutti. Se tutti hanno paura, quella decisione che ha decretato appare una follia. I giornali titolano: “non esistono deportazioni a fin di bene”; ma lui non sente ragioni: “se questi ragazzi restano in Calabria, le loro famiglie saranno la loro condanna” – dice ad un amico -, che gli risponde: “no, saranno la nostra di condanna ed io non voglio venire al tuo funerale”. Naturalmente il giudice è consapevole del rischio che corre, ma non per questo si tira indietro. È quasi un affetto paterno quello che sente per Domenico e non è disposto a fermarsi, anche quando le sue certezze vacillano. Così come molto titubante è il giovane, assolutamente in totale confusione. “Prima non riuscivo nemmeno a ridere, ora ho solo voglia di piangere; prima mi piacevo, ora non so più chi sono; prima ero forte, ora sono debole e voglio solo andare il più lontano possibile da tutto e tutti”. Il nome del clan, che si porta come un sigillo, un marchio, un’etichetta, un timbro di fabbrica e di famiglia, certo dà sicurezza e forza; ma non per questo significa che arricchisca. Perché, andando nella comunità dei servizi sociali in Sicilia, quello che guadagnerà è forse un bene molto più prezioso: la libertà di scegliere e decidere chi essere e cosa fare. Sarà libero di scegliere e di cambiare anche. Dopo di lui, anche la sorella, la madre e il fratello Giovanni potranno essere liberi di scegliere, la frase che dà il titolo al film, seguendo il suo esempio. Lui, insieme al giudice Lo Bianco, può dare il là a quel cambiamento rivoluzionario che sa di speranza e che è come una dedica finale che conclude e chiude al termine del film: il ricordo di quei 40 minori allontanati in tutto dalle famiglie della ‘ndrangheta dopo il caso di Domenico. Tante altre madri busseranno alla porta di giudici come Lo Bianco, alias Di Bella. Perché, in fondo, come dice la sorella Teresa a Domenico: io non voglio la vita della mamma e tu non vuoi quella di papà.

La trappola che si nasconde e cela dietro la ‘ndrangheta è nelle parole che il boss Tripodi dice al figlio Domenico. Qui si insedia il confine tra bugia, menzogna, inganno e verità e sincerità, della realtà dei fatti; tra affetto vero e invece un affetto più ‘malato’ e nocivo, più pericoloso perché rischia di compromettere l’esistenza di chi dovrebbe avere delle speranze e invece gli viene annientata ogni prospettiva positiva futura, decidendo per gli altri e della loro vita ed obbligandoli ad accettare cioè che è stato ‘pre-scritto’ e ‘pre-scelto’ (cioè già scritto prima, stabilito a priori e scelto già prima che ci si potesse rendere conto di ciò a cui si andava incontro e opporvisi). Quindi i figli della ‘ndrangheta non sono dei prescelti, nel senso di fortunati, eletti, ma hanno dei futuri prestabiliti. Famiglia, affetto e amore, non significano mai costrizione. Il padre dice a Domenico (proprio quella sera del 24 dicembre): “quante sono le dita di una mano? Cinque. Noi quanti siamo? Cinque. Se chiudi la mano cosa diventa? Un pugno forte e resistente, come noi” se rimaniamo insieme: quello che lui interpreta, spiega, illustra, motiva, come simbolo di unione, però, è anche emblema di violenza, non solo di forza. E, quando si trovava nel rifugio sulle montagne dove era nascosto, guardando il figlio negli occhi afferma: “voi siete il futuro (lui e la sorella); qui sulle montagne c’è il passato, ma io non vi lascio. Veglio su di voi”, quasi come un padre premuroso che si preoccupa per i figli e li segue in ogni loro passo, ma anche un’intimidazione mascherata a non ribellarsi, a non rivoltarsi, a non allontanarsi dal vincolo di sangue con il clan. Ma Domenico butterà via l’orologio che gli aveva regalato il padre, quel tempo passato sotto il suo ‘potere’, quella bussola che lo aveva orientato sino a quel momento, lo aveva guidato, gli aveva detto chi era e quello che doveva essere, come doveva agire, infondendogli quella forza-prepotenza dei dominatori, impedendogli persino di pensare e/o studiare, di costruirsi un futuro diverso. Invece condividerà con gli amici, gli altri ragazzi e compagni della comunità dei servizi sociali in Sicilia, tutte le prelibatezze culinarie che aveva portato con sé. Potremmo dire, parafrasando una canzone di Vasco Rossi, “c’è chi dice no” alla sopraffazione, sì alla libertà; anche di ‘aggiungere un posto a tavola’ (citando il noto musical); anzi. Più di uno. “Fa che siamo in tanti”, verrebbe da dire con le parole della nota canzone di Niccolò Agliardi per la fiction “Braccialetti Rossi”, che ha lanciato proprio Carmine Buschini. Sì, perché Domenico non ha finito, ma ha solo iniziato – da quel momento – ad essere libero e a vivere. E come lui, tutti gli altri quaranta ragazzi salvati dalla ‘ndrangheta, citati nel finale. Ed è esattamente questo, la conclusione non è che un nuovo inizio. “Liberi di scegliere” è una frase che dovremmo sempre ricordarci e ripeterci tutti quanti, ma è soprattutto un film che è una storia di emancipazione e di libertà, di cambiamento e di riscatto, di un futuro nuovo e diverso opposto al passato, di scardinamento di ogni stereotipo, [...] “una follia”, come disse a Lo Bianco il suo amico circa la misura che aveva preso nei confronti di Domenico. Di certo il suo provvedimento non è stato sufficiente ad eliminare il problema, ma ha dato quanto meno speranza.

Il boom di ascolti che ha ricevuto il film non è che una nota positiva; “Liberi di scegliere” ha raccolto 4,1 milioni di telespettatori (con uno share pari al 17,7%), lottandosela bene nel record di ascolti [...]. Altra curiosità, infine: ad interpretare Teresa da piccola nel film è stata una bambina cosentina di 9 anni.



di Barbara Conti, 24/01/19 ; recensione pubblicata via AVANTIonline.it






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MessaggioInviato: Sab Gen 26, 2019 14:52    Oggetto: ROBERTO DI BELLA \ Tribunale per i Minori di Reggio Calabria Rispondi citando






ha scritto:




Liberi di Scegliere”, il giudice Roberto Di Bella, Presidente del Tribunale per i Minorenni di Reggio Calabria,
incontra gli studenti del liceo scientifico “L. Da Vinci”: “cresce la consapevolezza che alla ‘ndrangheta c’è un’alternativa migliore





Questa mattina presso l’Aula Magna del Liceo Scientifico “L. Da Vinci” di Reggio Calabria, Roberto Di Bella Presidente del Tribunale per i Minorenni di Reggio Calabria, ha incontrato i ragazzi del liceo discutendo di legalità e tutela dei minori a pochi giorni dal film “LIBERI DI SCEGLIERE” andato in onda Martedì 22 Gennaio in prima serata su Rai 1, raccontando una storia vera ispirata proprio all’attività di Di Bella. E‘ stata una bella occasione per approfondire con i giovani delicate questioni legate al protocollo – promosso dal Presidente stesso – che ha ad oggetto la tutela dei minori provenienti o inseriti in contesti familiari di criminalità organizzata. Roberto Di Bella, 55 anni, 30 dei quali trascorsi da magistrato, ha cambiato radicalmente l’approccio nei confronti dei figli delle famiglie mafiose appartenenti alla ‘ndrangheta, trovando una strategia – come più volte lo stesso Magistrato ha ribadito – che permettesse ai minori di svincolarsi da un futuro nel quale sono destinati a raccogliere l‘eredità dei padri all’interno della complicata gerarchia delle cosche. Il suo programma nasce dalla constatazione che i cognomi che saltavano fuori nel corso dei processi degli anni 2000 erano gli stessi degli anni ’90, perché le famiglie mafiose erano sempre le stesse, e i più giovani continuavano l’azione criminale dei padri, finendo per condividerne anche il destino processuale. L’allontanamento dall’ambiente criminoso rappresentava, dunque, soprattutto dare la possibilità di crescere fuori dalla pressione dettata da regole e disvalori appartenenti a quel contesto particolare dal quale, in quanto minori, non avrebbero avuto la forza o la possibilità concreta di rifiutare.

Credo che uno degli strumenti migliori per dare continuità politica e sociale all’infiltrazione culturale da parte dello Stato e della società contro il fenomeno mafioso, potrebbe essere la cristallizzazione all’interno di un impianto normativo nazionale dei contenuti dei protocolli che abbiamo sottoscritto con la Procura nazionale antimafia e con associazioni come Libera” ha detto Di Bella a margine dell’incontro.

“Ricevo lettere e messaggi di detenuti al 41 bis – ha aggiunto Di Bella – in cui mi viene espressa gratitudine per il lavoro che stiamo facendo in favore dei figli minorenni di ‘ndranghetisti. Sono lettere per me incoraggianti, che denotano sofferenza umana ma anche speranza di una vita diversa per tanti ragazzi e ragazze che vogliono liberarsi da grandi pericoli a cui lo Stato deve una risposta, come stiamo facendo”. “Voglio inoltre, ancora una volta ringraziare – ha detto ancora il presidente del Tribunale dei Minorenni Di Reggio Calabria – il Procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho che ha sempre sostenuto con convinzione questa esperienza, che è assimilabile alla parabola del buon seminatore che lancia i suoi chicchi sapendo che non tutti si interreranno perché alcuni finiranno in pasto ai corvi o sulla nuda pietra. Ma altri si interreranno e daranno i frutti sperati, un esempio inverato di come si possa vivere in altro modo senza rischiare continuamente la morte o la prigione”.

Sul film “LIBERI DI SCEGLIERE”, il giudice ha detto che “Alessandro Preziosi è riuscito a descrivere con molta intensità il ruolo di giudice minorile, un lavoro che richiede molta empatia e capacità di intercettare le emozioni dei giovani. E’ un lavoro duro che va comunque perseguito con coerenza per offrire una diversa opportunità di vita a chi, altrimenti, è destinato a perpetuare meccanismi sociali e culturali che danneggiano profondamente i singoli e le comunità. A molti di noi giudici minorili – ha aggiunto Di Bella – accade spesso di volere abbracciare i ragazzi che ci troviamo dinanzi, conoscendone le vicissitudini familiari ed i legami naturali, aspetti che inducono forti emozioni“. “Lo dico senza intento polemico, continua ancora Di Bella – ma sarebbe necessario un sistema di detenzione che tenga conto dello sviluppo dei bambini e della loro serenità“.

“L’incontro con il presidente Di Bella – ha detto Giuseppina Princi, dirigente del Liceo ‘Da Vinci’, che ha organizzato l’evento – è un’opportunità per i nostri studenti, un’esperienza diretta con chi da anni opera e combatte per trasformare la realtà in cui viviamo, nella certezza che il futuro sia migliorabile”.


di Ilaria Calabrò, 25 gennaio 2019; pubblicato via STRETTOweb.com





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genziana



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MessaggioInviato: Dom Gen 27, 2019 01:45    Oggetto: LIBERI DI SCEGLIERE tv movie RAIPLAY con PREZIOSI e GRIMAUDO Rispondi citando



ha scritto:




"LIBERI DI SCEGLIERE" : tutto sul film tv con

Alessandro Preziosi, ispirato alle iniziative del

Tribunale per i Minorenni di Reggio Calabria





Racconta uno spaccato di vita vera - quella che vede intrecciarsi le storie delle giovani leve della 'ndrangheta a quella degli uomini di Stato che tendono loro la mano per aiutarli a realizzare un futuro diverso - "LIBERI DI SCEGLIERE", il film tv di Rai 1 con Alessandro Preziosi, Nicole Grimaudo e Carmine Buschini, in onda martedì 22 gennaio. Ecco tutto quello che c'è sa sapere.

È una sfida impegnativa quella che deve affrontare Alessandro Preziosi, il protagonista di "LIBERI DI SCEGLIERE", il film tv drammatico scritto da Monica Zapelli, sceneggiatrice e scrittrice, autrice tra gli altri de I cento passi. L'attore questa volta si cala nel ruolo di Marco Lo Bianco, un giudice del Tribunale per i Minori di Reggio Calabria che ha un sogno: strappare i ragazzi alla ‘ndrangheta.

Il film è ispirato dall’iniziativa del Tribunale per i Minorenni di Reggio Calabria - in particolare all’esperienza del giudice Roberto Di Bella, che dal 2012 punta su provvedimenti che prevedono la decadenza o la limitazione della responsabilità genitoriale - e racconta un percorso alternativo al carcere che ha l’obiettivo di fornire ai giovani delle cosche malavitose la possibilità di una crescita sociale e culturale in luoghi e contesti lontani da quelli di provenienza.

Nel cast di "LIBERI DI SCEGLIERE" c'è anche Carmine Buschini, attore amato dai giovanissimi, che incontra nuovamente il regista Giacomo Campiotti, il quale lo aveva diretto nella serie Braccialetti Rossi. "Questa volta intepreta un personaggio diverso. Abbiamo lavorato sulle emozioni, ma questa volta represse e nascoste, anche a se stesso", spiega Campiotti. Nicole Grimaudo è invece la madre di Domenico, intrappolata in una prigione di rimozioni.

Francesco Colella è Antonio, che da capofamiglia premuroso si trasforma in pericoloso assassino, mentre Alessandro Preziosi sarà un giudice antieroe. "Con lui abbiamo lavorato in sottrazione, costruendo un magistrato, schivo, umile, emotivamente partecipe del destino dei ragazzi e delle loro famiglie, ma sempre nel rispetto del suo ruolo istituzionale. Proprio come il Giudice Di Bella", aggiunge il regista.

La trama del film evento di Rai 1

Quando il giudice Lo Bianco incontra Domenico (Carmine Buschini), ultimo componente di una cosca, ma anche fratello minore di un ragazzo che ha inutilmente arrestato anni prima, decide che è arrivato il momento di dire basta: con un provvedimento senza precedenti, dispone l’allontanamento del ragazzo dalla Calabria e il decadimento della responsabilità genitoriale non solo per il padre latitante, ma anche per la madre.

A quel punto Lo Bianco e i suoi assistenti saranno costretti a fare i conti con i codici e i sentimenti delle famiglie criminali, mentre Domenico e sua sorella Teresa (Federica Sabatini) impareranno che esiste anche uno Stato che tende la mano e aiuta i ragazzi a sognare un futuro diverso, in cui poter essere liberi di scegliere. Così i ragazzi vengono sottratti al loro destino, che quasi certamente li avrebbe portati a seguire le orme dei padri e offrendo loro la possibilità di conoscere un altro modo di vivere.



Francesco Canino, 22/01/19; pubblicato via PANORAMA.IT/Televisione





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MessaggioInviato: Lun Feb 11, 2019 15:30    Oggetto: LIBERI DI SCEGLIERE: 16/02/19 RAI PREMIUM regia di CAMPIOTTI Rispondi citando




dall'intervista su IL MATTINO del 03/02/19; Spettacoli pagina 39

Tv MOVIE «LIBERI DI SCEGLIERE» si aspettava questo risultato?



«Sono strafelice del buon esito del film. Ho ricevuto molti commenti positivi da magistrati e avvocati e soprattutto da giovani. Anche mia figlia di 12 anni l’ha apprezzata. Mi ha sorpreso l’entusiasmo del pubblico giovanile. Hanno scelto il film perché parlava di loro e del loro futuro. La libertà di scegliere riguarda tutti i giovani, non solo i figli di criminali. Io ho avuto la fortuna di scegliere. Stavo facendo l’avvocato quando ho deciso di rendermi autonomo della mia famiglia e ho cercato un’altra strada».







    sabato 16/2 seconda visione 21:20 RAI PREMIUM

    LIBERI DI SCEGLIERE regia di Giacomo Campiotti

    nel ruolo del magistrato: ALESSANDRO PREZIOSI







e se non possiamo attendere o sabato sera potremmo
essere fuori casa? possiamo sempre rivedere la nostra
fiction preferita GRATIS su RAI PLAY da più dispositivi





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MessaggioInviato: Mer Feb 13, 2019 12:54    Oggetto: LIBERI DI SCEGLIERE TaxiDrivers intervista GIACOMO CAMPIOTTI Rispondi citando



ha scritto:



L’importanza di esseri consapevoli - intervista a

Giacomo Campiotti, regista di Liberi di scegliere









Cresciuto sotto l'ala di Olmi e Monicelli di cui è stato aiuto regista, Giacomo Campiotti è il prototipo dell'autore contemporaneo, capace di passare negli anni novanta dalla nomination ai Golden Globes come miglior film straniero per Come due coccodrilli alla regia di grandi serie internazionali. Dopo il successo di Braccialetti rossi, lo ritroviamo alle prese con un film ispirato alle vicende del giudice calabrese Roberto Di Bella, che colpì la 'ndrangheta togliendo ai boss la potestà sui propri figli. Prodotto dalla Bibi Film di Angelo Barbagallo in collaborazione con RAI Fiction, il film andrà in onda il 22 gennaio in prima serata su Rai 1. Di Liberi di scegliere ne abbiamo parlato con il suo regista.

Nell’andirivieni tra cinema e televisione mi viene da dire che tu, in quanto autore, debba tenere conto delle diverse aspettative del pubblico al quale ti rivolgi. Penso che lavorando per il grande schermo ci si senta più liberi di sperimentare, mentre quando si fa un film programmato per andare in onda in prima serata diventi basilare non perdere di vista il target dello spettatore. È così anche per te e, in caso di risposta affermativa, che metodo usi per salvaguardare il tuo sguardo nel passaggio da un formato all’altro?

In realtà, non prendo in considerazione questa differenza. Mi muovo in libertà, passando da un mezzo all’altro in base alla bontà del progetto. Lo scarto sta nel fatto che nel cinema la gente ti dà una fiducia a priori, per cui ti puoi permettere un linguaggio più lento, mentre in televisione devi cercare di tenere sempre desta l’attenzione per evitare il cambio di canale. Il mio rapporto con il mezzo, però, è sempre uguale e assomiglia a quello che può avere uno scrittore quando passa dal romanzo al racconto o a un articolo di giornale. La discriminante dipende da ciò che fai e non dal contenitore che lo ospita.

Sei per antonomasia il regista adatto per rispondere alla domanda che ti sto per fare, poiché in tempi non sospetti sei stato tra i primi a passare dal cinema alla televisione, dirigendo anche serie tv internazionali. Per cui ti chiedo: come ti poni rispetto alla contrapposizione esistente tra Netflix e il cosiddetto cinema tradizionale, per intenderci quello usufruito nelle sale?

Penso che i cambiamenti siano fisiologici nel bene e nel male: appartengono alle cose, alle persone, alle tecnologie. Diciamo che la qualità del cinema sul grande schermo, anche in termini di immersione nella storia e nella immagini, è impagabile, ma per esempio io stesso nei progetti che scelgo cerco sempre di trovare motivi che possano spingere le persone a recarsi in sala, cosa diventata sempre più difficile. L’ho fatto con Bianca come il latte, rossa come il sangue, ma devo dire che lì c’era dietro un libro di grande successo. Molti film li rifiuto proprio perché penso che non abbiano il quid necessario per spingere le persone ad andarli a vedere. La questione vera è quella di non giocare al ribasso e cioè che la televisione non rinunci a occuparsi dei grandi temi del nostro tempo. Liberi di scegliere ci riesce, e questo è già un motivo valido per curarne la regia.

Sempre per restare alle differenze tra cinema e televisione mi viene da pensare che tra i vantaggi di fare un film per conto della RAI ci sia quello di inserirsi in un’organizzazione già oliata. In questo senso, Liberi di scegliere è uno dei pochi film dove non firmi la sceneggiatura e in cui lavori con attori – Nicole Grimaudo e Carmine Buschini – che avevano già frequentato i tuoi set. Ti chiedo, allora, come ci si avvicina a un progetto del genere, quali sono i tuoi margini di intervento e cosa hai eventualmente cambiato. Ancora a proposito del cast: ti è stato proposto o lo hai deciso tu?

Intanto trovo un grande privilegio e una chiamata di grande responsabilità lavorare in televisione. Non appartengo alla categoria dei registi spocchiosi che la ritengono un’occupazione minore. Entrare nelle case delle persone dopo cena e comunicare con loro è una responsabilità molto importante; è una cosa che mi gratifica e mi spinge a stare ancora più attento a ciò che faccio. Come hai detto tu, in genere partecipo sempre alla stesura della sceneggiatura, ma quando trovo progetti che mi interessano molto, come quest’ultimo, lo accetto lo stesso e comunque ciò non vuol dire che faccia mancare il mio apporto, anzi. Intanto il casting lo faccio io. Posso condividere la scelta della produzione, ma la RAI mi ha sempre lasciato libero di chiamare gli attori che volevo. Se mi capita di chiamare attori con cui ho già lavorato non è per amicizia ma perché conoscendoli li ritengo adatti per un determinato ruolo. Carmine Buschini, il Leo di Braccialetti rossi, l’ho cercato solo alla fine, dopo aver fatto centinaia di provini in diverse regioni del sud Italia alla ricerca di un attore esordiente. Alla fine la scenografa mi ha suggerito che Carmine sarebbe stato perfetto, e così è andata.

Parlando degli attori, la tua regia si ritrova anche nella mancanza di eccessi con cui li dirigi e nel lavoro di sottrazione operato sui personaggi. L’unico aspetto che risulta evidente è la loro dignità.

Ciò che dici succede soprattutto con il personaggio del giudice. Ho chiesto ad Alessandro di non lavorare alla “Preziosi”. Gli ho detto che doveva recitare come se fosse stato alto un metro e sessanta, perché questa era la statura del vero giudice a cui è ispirato il suo personaggio. Si trattava di partire da un punto di vista diverso da quello a cui ci hanno abituato film e serie tv. In questo caso, infatti, non parliamo di una figura egotica e tronfia come altre che sicuramente fanno un lavoro eccezionale ma tendono a esporsi più del dovuto. Il nostro è un antieroe dotato di incredibile delicatezza e di una mitezza che però non si sposta di un centimetro rispetto alla propria missione. La vera forza di persone come Roberto Di Bella – il giudice a cui si rifà il personaggio di Preziosi -, che ha deciso di combattere l’ndrangheta sottraendo ai boss il controllo dei loro figli è quella di non avere nulla da dimostrare nella convinzione di operare nel giusto. Alla pari del nostro Di Bella ha ricevuto intimidazioni di ogni tipo ma è andato avanti per la sua strada, mantenendo sempre l’umanità e l’umiltà che ne ha contraddistinto la propria azione. Con la sua prestanza fisica Preziosi avrebbe potuto incarnare l’eroe più ovvio e cioè quello invincibile e belloccio. Noi siamo andati nella direzione opposta, quella più vicina alla realtà.

Preziosi è davvero bravo e tu lo sei altrettanto nel trasfigurarne l’immaginario a partire dall’uso degli occhiali che in qualche modo ne nascondono lo faccia.

Si, e poi, come hai detto, sia il suo come quelli degli altri attori sono personaggi di grande dignità. Il film non vuole dare un giudizio su buoni e cattivi ma tentare di capire il dramma vissuto da ognuno di loro. In fondo – come ho scritto nella sinossi -, il male fa male a chi lo fa. Questa è una verità assoluta.

A differenza di altri casi, il giudice di Liberi di scegliere non assurge mai al ruoli di eroe della storia perché fai si che il romanzesco del personaggio non sia superiore all’importanza del tema. In un film come il tuo, che affronta un argomento così importante, mi pare fondamentale.

È così e, visto che mi hai fatto questa domanda, ti dico che si trattava di una sceneggiatura giornalistica e un po’ fredda. Lo sapevano sia il produttore che la scrittrice. In più, come hai giustamente notato, non c’era nessun protagonista assoluto e tu sai quanto sia pericoloso trattare una coralità di figure come quella di Liberi di scegliere, in cui, oltre al giudice troviamo il boss, suo figlio, la madre, la sorella, etc. L’equilibrio era difficile da trovare, soprattutto perché a ognuno di loro volevo riservare il proprio spazio. Ho lavorato moltissimo per “scaldare” la sceneggiatura, tanto che quando la sceneggiatrice (Monica Zappelli, ndr.) ha visto il film ne è rimasta molto sorpresa, non aspettandosi un trattamento del genere. Se leggi lo script, anche la parte girata in comunità risultava tra le righe; non succedeva nulla e ogni cosa era affidata a minimi cambiamenti. Insieme ad attori e tecnici abbiamo apportato delle variazioni senza sminuire – credo – l’importanza del tema.

Ci riesci perché, a partire dalle interpretazioni e proseguendo con il tono e la drammaturgia, lavori sempre di sottrazione, in maniera che il tema del film rimanga intatto nella sua centralità. La sintesi di questo discorso la si ritrova nel personaggio della madre, impersonata dalla Grimaudo. Nonostante sia quello più fortemente melodrammatico nella versione che ne dai tu risulta molto trattenuto, quasi raffreddato.

Soprattutto realistico. La madre interpretata da Nicole Grimaudo è la più schiacciata dall’ambiente in cui vive, però è anche vero che lasciando scappare la figlia si dimostra aperta a un’ipotesi di cambiamento. Il film è molto drammatico ma si mantiene sempre nell’alveo di un assoluto realismo. Quando l’ho visto, il giudice si è riconosciuto nel film e nei fatti sviluppati dalla storia, cosi pure nelle reazioni dei personaggi.

Pensando alla sceneggiatura non mi stupisco che Angelo Barbagallo e la RAI ti abbiano scelto. Come quasi sempre accade nei tuoi film, anche qui a farla da padrona è la giovinezza, intesa come fase della vita che dalla nascita precede l’età adulta. A confermarlo è il fatto che i vari filoni della narrazione convergono tutti su Domenico, il figlio del boss. In quest’ottica Liberi di scegliere potrebbe essere un vero e proprio romanzo di formazione – altro elemento di continuità con la tua cinematografia – e oserei dire, di deformazione, visto che il tentativo del giudice è quello di smontare l’imprinting malavitoso del ragazzo.

Con Angelo Barballo e la sceneggiatrice avevo già lavorato nella fiction Non è mai troppo tardi, incentrata sulla figura del maestro Manzi, quindi ci conoscevamo bene. In più penso che me lo abbiano proposto sapendo quanto apprezzo lavorare con i ragazzi. Come dicevi, mi piace l’adolescenza sia quando si tratta di raccontarla nei suoi momenti educativi, sia quando ne devo approfondire aspetti meno edificanti. Come pedagogo trovo molto interessante focalizzarmi su questi antipodi. Tra l’altro, è un periodo molto cinematografico perché fatto di stati d’animo opposti. O sei molto felice o sei molto arrabbiato, non esistono vie di mezzo, i sentimenti non sono mai tiepidi ma vissuti con grande passione.

Dicevamo di come Liberi di scegliere sia ispirato a una storia vera, quella di Roberto Di Bella, il giudice che attraverso il protocollo da cui prende il titolo il film combatte l’ndrangheta, togliendo ai boss la potestà sui propri figli e, in questa maniera, interrompendo la trasmissione del potere all’interno dell’organizzazione. La matrice realistica e l’impegno civile sono altre due elementi su cui è costruito il film.

Si, diciamo che questo film sono stato contento di farlo perché sposa la vera vocazione della RAI, nel senso che c’era la possibilità di raccontare una grande storia, capace di intrattenere con fatti realmente accaduti e con un lieto fine non forzato. L’intuizione che ha avuto questo giudice sta avendo un successo incredibile perché colpisce l’ndrangheta nella sua parte nevralgica, sradicandone alla base l’impianto mafioso. Tanto è vero che il Dipartimento di Grazia e Giustizia ha aperto un protocollo che si chiama, appunto, "Liberi di scegliere", la cui finalità è quella di ampliare la portata dei suoi effetti. L’unica maniera per sconfiggere la mafia è cambiare le persone, trasmettendogli la consapevolezza della dimensione di violenza in cui vivono fin dalla nascita. Di Bella afferma che questa sarà una cosa devastante per i boss perché per la prima volta capiranno la miserabile vita che sono costretti a condurre, perennemente in fuga, isolati e reclusi in luoghi disabitati. A testimonianza di questo c’è il fatto che sono tutti sotto psicofarmaci, non riuscendo altrimenti a sopportare un simile degrado. Il tema civile è dato dal raccontare che le cose possono cambiare, facendo vedere gli sforzi della Stato attraverso la figura del giudice e di chi lo aiuta. Mi riferisco alla sociologa e allo psicologo, sgangherati come si conviene a chi lavora per uno stipendio che non li ripaga minimamente per ciò che fanno. Tra l’altro, lo Stato si appoggia quasi del tutto a Libera e ad altre realtà come questa poiché nel percorso di rinascita di tanti ragazzi il problema inizia quando si tratta di trovare famiglie alle quali affidarli. Poi mi piace pensare che oltre a questo Liberi di scegliere contenga un messaggio a cui tengo moltissimo e cioè che ognuno di noi, indipendentemente dai propri problemi, ha il diritto-dovere di prendere in mano la propria vita e decidere cosa farci. Come in Braccialetti rossi mi interessava togliere alle persone la scusa che non si possa scegliere la propria felicità, malgrado la situazione di partenza. Qui parliamo di un ragazzo immerso nella mafia che ha la possibilità di tirarsene fuori anche grazie all’aiuto di qualche mentore. Mi pare questa sia una grande possibilità di libertà.

Pur essendo un film sulla mafia non sono presenti sparatorie; la violenza rimane fuori campo ed entra in gioco solo nelle conseguenze psicologiche di coloro che la subiscono. Inoltre, lavorare su un archetipo come quello che recita “le colpe dei padri ricadono sui figli” ti permette di rendere la storia universale.

Sulla mafia sono stati fatti innumerevoli film. Per quanto mi riguarda avevo la presunzione di pensare che questo poteva essere diverso dagli altri, nel senso che i suoi effetti speciali – a parte la fuga in motocicletta – non sono le traiettorie dei proiettili ma le loro conseguenze. Siamo abituati a prodotti pieni di violenza e sparatorie in cui non si capisce mai cosa c’è dietro. Si tratta di lavori ben confezionati ma che vanno a fomentare la delinquenza perché i criminali sono presentati come degli strafighi, bellissimi e tatuati, mentre poliziotti e giudici o sono assenti o appaiono privi di qualunque appeal. È dunque normale che i ragazzi siano attratti dai primi. Secondo me era fondamentale parlare di quello che esiste prima e dopo questa violenza.

Parlando di come lo hai girato, Liberi di scegliere presenta uno dei tuoi stilemi più ricorrenti, che è quello di fare del paesaggio la cassa di risonanza dello stato d’animo dei personaggi. Indicativa è una delle sequenze conclusive quando, con una veduta dall’alto, restituisci la solitudine del boss. La disumanità della sua esistenza è esplicata dall’inquadratura sull’interno dell’ovile in cui l’uomo sembra quasi scomparire, sovrastato dalla moltitudine di pecore che ne circonda la figura. In più, cosa rara, associ la Sicilia – che nel film ha un ruolo visivamente marginale – alla speranza di salvezza del protagonista.

Non conoscendo così bene la Calabria, dove si svolge la maggior parte della vicenda, i sopralluoghi per la scelta delle ambientazioni mi hanno permesso di farlo per cui ho scoperto perché si chiamano le Calabrie, con il sostantivo usato al plurale: per le scene dell’inseguimento ho potuto constatare che luoghi tra loro vicinissimi diventano raggiungibili dopo ore a causa dell’alta compartimentazione del territorio. C’è poi la questione del dialetto e della cultura che cambiano nello spazio di pochi chilometri: dalla greca si passa a quella ionica e tirrenica, tutte messe a disposizione di una terra dotata di una ricchezza disperatamente arcaica e insieme antica. Un luogo in cui il progresso è stato già tradito, come testimoniano le strutture industriali abbandonate e giacenti accanto alla bellezza di una natura da mito greco. Come dicevi tu si tratta di una storia super contemporanea ma con un carattere selvaggio e ancestrale, derivato dalla sua ambientazione. Sono d’accordo sulla solitudine del boss. È questa la ragione per cui a un certo punto lo inquadro da un buco. Il vero sconfitto è lui. Prima lo vediamo nel super bunker di lusso dove si festeggia il Natale, ma in cui si consuma la tragedia della sua famiglia. Poi mi piaceva che per una volta la Sicilia fosse vista come una realtà salvifica.

Ancora sul tuo cinema. Sin dagli inizi i tuoi sono film pieni di facce pulite, cosa che almeno oggi va controcorrente rispetto all’estetica dei tanti bad boys di periferia che popolano le storie del cinema italiano. Mi dici qualcosa a riguardo?

È difficile rispondere a questa domanda. Nonostante tutto continuo a credere molto negli esseri umani, sia uomini che donne. Sono un padre di bambini anche piccoli per cui sapendo di rischiare punto tutto sull’uomo e su personaggi in trasformazione. Il dovere di ogni essere umano è quello della consapevolezza, così scelgo di raccontare persone che pur nella malattia (Braccialetti Rossi) o nel loro lavoro (Il maestro Manzi di Non è mai troppo tardi) sono capaci di provocare cambiamenti prima su se stessi e poi sul resto del mondo. Forse, come dici tu, cerco attori un po carini e puliti però lo faccio con il cuore. Questa cosa me la fai notare tu, ma a me sorge spontanea; le persone risuonano dentro di me e ciò fa sì che le ritenga adatte a ciò che cerco. Girando Maria di Nazareth ho creato una Madonna diversa da come mi ero immaginato: l’attrice era una tedesca (Alissa Jung, ndr.) alta e con una fisiognomica non tradizionale, eppure ha interpretato il ruolo alla perfezione.

Negli anni novanta tu e Amelio avete scosso il cinema italiano dal torpore in cui era precipitato dopo il vuoto lasciato dai maestri degli anni sessanta e settanta. Ladro di bambini, a Cannes, e Come due coccodrilli, sbarcato negli Stati Uniti e candidato ai Golden Globes, furono un vero e proprio shock cinematografico.

Ti dico, sono per scelta un outsider. Non frequento salotti, né colleghi per cui, forse, ho perso dei treni, però come ti dicevo sono contento di quello che faccio, scelgo i progetti più che le occasioni.

La domanda precedente voleva essere la premessa a quella che ti sto per fare sul risveglio che da più parti viene segnalato a proposito del nostro cinema. Com’è successo con te, mi pare ci sia una nuova generazione di autori in grado di stimolare una crescita del nostro movimento. Cosa ne pensi?

Purtroppo vedo poco cinema: un po’ perché è il lavoro che faccio, un po’ perché ho una famiglia che assorbe buona parte delle mie energie, quindi con tutta onestà, non voglio parlare di cose che non ho visto, Detto questo, come hai notato, sembra anche a me che siamo usciti dal torpore e dall’arrotolarsi su se stesso tipico di certi film semi intellettuali che o sono dei capolavori o, come quasi sempre succede, dei fallimenti. La RAI e il ministero ne hanno prodotti tanti ma non ne ho mai capito il criterio. Da spettatore, e senza fare nomi, si tratta di film che mi hanno lasciato davvero perplesso. Ben venga dunque questo ritorno al genere. D’altro canto da genitore e da spettatore trovo un po’ pericolosa la deriva di violenza che sulla scia del cinema americano è molto presente in questo tipo di prodotti. L’Italia è stata grande per i suoi registi e per gente come Fellini e i neorealisti, capaci di andare oltre il genere. Questo non vuol dire che dobbiamo sentirci tutti autori altrimenti si ritorna al disastro che si è verificato negli ultimi trentanni. Io ho fatto lotte contro la censura ma sono favorevole all’autocensura. Ogni volta che mi propongono un film la prima domanda che mi faccio è quella se lo farei vedere ai miei figli. Noi siamo come dei cuochi. Entrare nelle case degli italiani è un privilegio ma può essere devastante, è come se fornissimo cibo all’anima delle persone. Molti non si rendono conto della forza e del potere che hanno le immagini. Questo non vuol dire che si debbano fare film noiosi ma, insomma, penso che tra questi due estremi ci possa essere una terza via.

Tu hai lavorato con due maestri del calibro di Olmi e Monicelli. Non posso non chiederti qualcosa del tuo incontro con loro.

Con Olmi non ho mai lavorato sul set. Con lui c’è stato un momento di grande vicinanza in cui ha usato con me il bastone e la carota, non mancando mai di gratificarmi. Io ho frequentato Ipotesi cinema, lui ha prodotto i miei primi lavori documentari, ma mai quelli di finzione, suggerendomi che preferiva vedermi camminare con le mie gambe. Mi ha sempre affascinato il fatto che prima di essere regista fosse un uomo capace di chiedersi ogni volta che senso avesse stare al mondo: come diceva lui, capire “perchè ogni mattina mi metto le scarpe”. Non sopporto quelli che vivono solo di cinema, mi annoiano profondamente. Del suo modo di fare film ammiravo l’aspetto epico e allo stesso tempo artigianale che è un po’ quello che cerco di fare, riducendo la macchina cinema al minimo indispensabile. Monicelli era una persona straordinaria, con lui ho lavorato come regista e aiuto regista. Nei titoli di coda de Il marchese del grillo il primo nome è il mio per cui gliene sarò sempre grato. Per me è stato un maestro di vita, con quella leggerezza mascherata da finto cinismo. In realtà era una persona generosissima. Mi ha insegnato tanto, a cominciare dal rapporto con troupe e produttori; in più mi ha trasmesso la forza di volontà nel perseguire i miei progetti. Lui aveva una potenza psicofisica pazzesca. A ottant’anni era sempre in piedi e non si faceva vedere mai stanco. Ho preso tantissimo da lui. Le troupe mi seguono perché, come faceva lui, mi do da fare anche più di loro. Non delegava nulla a nessuno e poi era un uomo abituato a dire sempre la verità, quindi anche a livello umano è stato un grande esempio. Mi ritengo fortunato a essere stato accanto a due persone cosi belle.


by Carlo Cerofolini, 22/01/19
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MessaggioInviato: Mer Feb 13, 2019 13:20    Oggetto: NOVE HD 13/02/19, 21:30, MINE VAGANTI film di Ferzan OZPETEK Rispondi citando




apriamo una parentesi tv, per dedicare questa serata

dal forum di Alessandro Preziosi a Ennio Fantastichini

che, con questo film, vinse il David di Donatello 2010








merc. 13 febbraio 2019 NOVE TV 21:30 HD Can. 509

commedia: "MINE VAGANTI" regia di Ferzan Özpetek








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MessaggioInviato: Sab Feb 16, 2019 12:39    Oggetto: LIBERI DI SCEGLIERE di Giacomo Campiotti RAIPLAY, recensione Rispondi citando



ha scritto:



LIBERI DI SCEGLIERE - recensione del tv movie




Pellicola ben realizzata che offre una moltitudine di spunti di riflessione. Da vedere soprattutto nelle scuole e per i più giovani.

Liberi di scegliere è un ottimo film, ben realizzato, coinvolgente e ben interpretato. Pellicola che tratta il tema della mafia, focalizzandosi, però, non sulle scene di azione, inseguimenti e quant’altro, ma concentrandosi sulle conseguenze che hanno le azioni compiute da chi viola la legge sui figli e sulle donne.
Infatti, Domenico e Teresa, seppur ancora innocenti, non vivono in modo libero la loro adolescenza, poiché l’uno è chiamato sin da piccolo a crescere subito ed in fretta, e la sorella, è usata quasi come merce di scambio, oggetto di un matrimonio combinato per unire due famiglie.

Il tema della libertà e del destino quasi già scritto dei figli di esponenti della mafia, sono ben trattati in questa pellicola e riescono ad essere trasmessi a tutti gli spettatori. Le scene più toccanti e di forte impatto emotivo sono diverse, in particolare quando il padre mette in mano a un Domenico ancora bambino il fucile, oppure quando si prepara il matrimonio di Teresa sebbene a nessuno importi che lei non vuole sposarsi e non si sente pronta.

Insomma, una pellicola dalla quale si possono trarre diversi spunti di riflessione e che dovrebbero essere presi in seria considerazione da tutti. Quando si parla, infatti, di sconfiggere la mafia si pensa subito a grandi operazioni militari, lavori di intelligence e via dicendo. In realtà, purtroppo, il carcere per chi già vive in bunker, o per chi è costretto a nascondersi di continuo, non è visto affatto come la panacea di tutti i mali, anzi. Il carcere può essere un luogo dove mostrare la propria forza, il proprio potere e la propria influenza.

Naturalmente, è logico che occorre assicurare alla giustizia coloro che violano la legge, ma per sconfiggere i comportamenti criminali (specie quelli mafiosi tramandati di generazione in generazione) occorre qualcos’altro. Occorre, innanzitutto, interrompere questa catena che tramanda di padre in figlio l’atteggiamento e le tecniche criminali. D’altronde è sufficiente leggere le teorie sulla subcultura criminale di Cohen o, ancora meglio, la teoria dell’associazione differenziale di Sutherland, secondo la quale, il comportamento criminale viene appreso (si apprendono sia le scusanti, che le forme, che le tecniche) stando a stretto contatto con gruppi, con persone, che sono portatrici di valori non conformi alla legge (pensiamo, appunto, alla mafia).

Ecco perché l’idea del presidente del Tribunale per i Minori di Reggio Calabria, Roberto Di Bella, (nel film rappresentato da Alessandro Preziosi) è stata eccezionale da questo punto di vista. Ha capito (e il film lo mostra molto bene, ora sta alle autorità che lo hanno visto cercare di darne attuazione) che per sconfiggere la criminalità organizzata, occorre anche intervenire da un punto di vista sociologico, lavorare sulla cultura e sull’educazione. Certamente ci vuole tempo, ma le misure più lunghe sono anche quelle più efficaci.

In un’intervista pubblicata sul “Sole 24Ore”, il magistrato dice, infatti, che la mafia si eredita, che occorre regalare ai giovani un percorso alternativo fuori da quel modello educativo mafioso che sempre pregiudica lo sviluppo psicologico di bambini e adolescenti e che, continua il magistrato, “l'introiezione della cultura mafiosa, i cui sintomi sono presto evidenti, dal bullismo, all'oltraggio a pubblico ufficiale, alla dispersione scolastica va combattuta con scelte educative radicali”. L'obiettivo è quello di tutelare l'integrità emotiva e fisica dei minori, proponendo un percorso in comunità o in famiglie affidatarie, fuori dai confini regionali. Non si tratta di confische, di deportazioni o di provvedimenti punitivi, bensì una forma di tutela volta ad offrire altri orizzonti sociali, affettivi e psicologici a chi rischia un futuro di carcerazione, latitanza, lutti”.

La pellicola riesce molto bene a trasmettere tutto questo. In modo semplice, senza scene forti, insomma, per tutti. Per questo non sarebbe male mostrarlo nelle scuole di qualsiasi grado a tutti i ragazzi. Poiché occorre arrivare a tutti. Troppo spesso e volentieri si attende il solo intervento delle forze dell’ordine, dicendo frasi del tipo: “Mah sì ci sono loro, è il loro compito”. Il problema è che da soli non ce la possono fare, o meglio, spesso si interviene quando ormai il danno (omicidio, furto ecc.) è fatto e le vite di più persone sono ormai compromesse. Perché, un giovane, va bloccato prima che inizi la sua vera partecipazione in una organizzazione criminale. In quanto una volta che inizia, o che entra in carcere, il tutto sarà poi compromesso, in quanto sarà stigmatizzato/etichettato da tutti come un criminale e a quel punto lo diventerà a tutti gli effetti. Ecco definita in modo veloce, la più complessa teoria dell’etichettamento (The Labelling Theory) di Howard Becker.

In questo, perciò, le istituzioni hanno un ruolo chiave. A scuola, nei centri sportivi, attraverso la tv e i social network occorre parlare, mostrare, far leggere e conoscere.

A mio avviso, senza una cultura della legalità, ma più semplicemente senza portare concretezza ad un concetto astratto come libertà o scelta poco si può fare e ogni sforzo sarà, alla lunga, vano.

Speriamo veramente che le istituzioni possano raccogliere questi messaggi in modo concreto, poiché oltre a mostrare serve, poi, agire in quella direzione. Non è affatto facile, anzi. La direzione è lunga e difficile, e servirà molta pazienza, ma tutto ciò deve essere compiuto con la speranza che, dopo qualche tempo, potrebbe portare tanti frutti. Senza dimenticarci cosa disse Goethe e rimanendo sempre con i piedi per terra: “Pensare è facile, agire è difficile, e tramutare il proprio pensiero in azione è la cosa più difficile del mondo”.



by boychick, 26/01/19; pubblicata via FILMTV.it Arnoldo Mondadori Editore






Intervista al magistrato Roberto Di Bella citata nella recensione: https://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2019-01-20/offriamo-speranza-figli-boss-storia-roberto-bella-diventa-film-123024.shtml?uuid=AEbuRvIH


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MessaggioInviato: Sab Feb 16, 2019 20:07    Oggetto: LIBERI DI SCEGLIERE: 16/02/19 RAI PREMIUM regia di CAMPIOTTI Rispondi citando








    sabato 16/2 seconda visione 21:20 RAI PREMIUM

    LIBERI DI SCEGLIERE regia di Giacomo Campiotti

    nel ruolo del magistrato: ALESSANDRO PREZIOSI








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genziana



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MessaggioInviato: Sab Feb 23, 2019 19:42    Oggetto: LIBERI DI SCEGLIERE: regia di CAMPIOTTI 23/02/19 RAI PREMIUM Rispondi citando








    sabato 23/02/19 ore 19:20 RAI PREMIUM film TV

    LIBERI DI SCEGLIERE regia di Giacomo Campiotti

    nel ruolo del magistrato: ALESSANDRO PREZIOSI



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"Liberi di scegliere" con il titolo "Sons of 'ndrangheta"

nella sezione -US Premiere- è stato presentato al 14°

Los Angeles, Italia - Film, Fashion and Art Fest, prima

della proiezione a introdurlo c'era Alessandro Preziosi.




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